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Costruita nei primi anni Sessanta e rimasta in attività dal 1963 al 1987, l’ex Centrale nucleare di Borgo Sabotino nei pressi di Latina ha rappresentato per molti anni il più grande impianto di produzione di energia atomica in Europa.

Il decommissioning

Terminata questa attività all’indomani del referendum abrogativo di 27 anni fa, è stata avviata l’opera di decommissioning. Fase terminale del ciclo di vita di una centrale atomica, essa contempla le iniziative di manutenzione degli impianti, l’allontanamento del combustibile esaurito, la decontaminazione e lo smantellamento delle installazioni nucleari, la messa in sicurezza delle scorie. L’obiettivo è rendere l’area interessata pronta per una riconversione produttiva.

Il ruolo di Sogin

Rientra in tale prospettiva la visita effettuata dai parlamentari delle Commissioni Ambiente e Attività produttive di Camera e Senato, finalizzata a verificare lo stato di avanzamento dei lavori di decommissioning messi a punto dalla Società Gestione Impianti Nucleari.

Azienda partecipata al 100 per cento dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, responsabile delle opere di smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, Sogin svolge una missione strategica per garantire la sicurezza dei cittadini e dei territori coinvolti, salvaguardare l’ambiente e tutelare le generazioni future.

Il valore economico dello smaltimento delle scorie

È evidente l’elevata valenza economica, sociale e ambientale insita nell’azione di smaltimento. Un terreno nel quale l’Italia, fra le prime nazioni ad aver abbandonato il ricorso all’energia atomica, può vantare l’impiego di tecnologie avanzate e un know how altamente specializzato.

Manifestazione del tasso di eccellenza raggiunto dal nostro paese è il nuovo deposito – completato da Sogin e operativo – in cui trasferire i rifiuti radioattivi prodotti nel corso del tempo dalla ex centrale nucleare di Borgo Sabotino. L’impianto presenta una capienza di 25mila metri cubi, che accoglieranno per ora 2.500 m/c di rifiuti con esclusione del reattore.

L’importanza del deposito nazionale

La fase finale del processo, compreso lo smaltimento del reattore, sarà possibile soltanto con la costruzione di un grande sito nazionale cui verranno conferite le scorie a intensità medio-bassa delle 4 ex centrali nucleari italiane – Latina, Garigliano, Trino vercellese e Caorso vicino Piacenza – e degli impianti di ricerca sul ciclo del combustibile. L’individuazione della superficie in cui collocare, mettere in sicurezza e smaltire gli scarti nocivi frutto della decennale produzione di energia atomica spetta alla società pubblica, che agisce su orientamento del governo.

Ma una tappa di tale rilievo, che alimenterà un acceso dibattito nel mondo politico e tra le comunità locali, richiede un requisito preliminare: la determinazione, da parte dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale, dei criteri che permetteranno di redigere la carta nazionale delle zone potenzialmente idonee a ospitare l’impianto. Una volta giunto il via libera dell’ISPRA, Sogin procederà alla ricerca dell’area più propizia per realizzare il progetto di Deposito nazionale.

Un polo scientifico e produttivo

Una vera e propria infrastruttura ambientale, spiega l’amministratore delegato di Sogin Riccardo Casale, in grado di funzionare fino a 300 anni: termine in cui abitualmente i rifiuti radioattivi ad attività medio-bassa esauriscono i loro effetti. L’impianto sarà costruito all’interno di un Parco Tecnologico, centro di eccellenza aperto a collaborazioni internazionali, dotato delle più moderne tecnologie per svolgere attività di ricerca e sviluppo nel campo della gestione delle scorie.

La sinergia con enti di ricerca, università e operatori industriali, permetterà al Parco di integrarsi con il sistema economico e di contribuire alla crescita sostenibile del territorio. L’investimento complessivo ammonterà a 2,5 miliardi di euro. Ma la proiezione internazionale e la capacità di attrazione dell’opera potrebbero ripagare la cifra stanziata con un utile di gran lunga superiore.

Le procedure di sicurezza

La struttura accoglierà circa 90mila metri cubi di rifiuti, per il 60 per cento provenienti da produzione energetica delle centrali e per il 40 derivanti da attività bio-mediche, industriali e di ricerca. Per 75mila m/c composti da scorie a bassa e media attività, l’opera di sistemazione e smaltimento sarà definitiva.

Le procedure di sicurezza per garantire che nessuna goccia d’acqua contenente elementi radioattivi possa infiltrarsi nel terreno rispondono ai più elevati standard internazionali. E prevedono un protocollo ben preciso. Le scorie verranno  trattate, condizionate e stoccate in fusti collocati all’interno di contenitori costruiti con malta di cemento. A loro volta i contenitori saranno chiusi e sigillati in celle impermeabili. Celle che verranno ricoperte di argilla, creando collinette artificiali.

Un deposito geologico per le scorie più pericolose

Riguardo ai 15mila metri cubi di rifiuti con elevata intensità tossica, essi verranno trasportati e stoccati temporaneamente in contenitori speciali. Nell’attesa della realizzazione di un deposito geologico ad hoc, che sarà costruito dall’Italia in collaborazione con altri paesi europei a ridotta capacità energetica nucleare.

Un atto di fiducia nell’eccellenza italiana

Tutte le iniziative di bonifica e messa in sicurezza, rileva il presidente della Commissione Attività produttive di Palazzo Madama Massimo Mucchetti, verranno affidate a Sogin: “Un’impresa italiana importante che può crescere in dimensione e fatturato facendo leva sul mercato interno, in un comparto molto avanzato e con un patrimonio unico di competenze”.

Perché è necessario un deposito nazionale dei rifiuti radioattivi

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