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di Flavio Felice e Fabio G. Angelini

 

L’annunciata riduzione del cuneo fiscale, destinata a rilanciare la crescita e l’occupazione, arriva in un momento particolarmente delicato. Se sul fronte politico le elezioni europee rischiano di stravolgere gli attuali equilibri e, di conseguenza, di segnare un cambio di passo nella politica economica europea, su quello delle imprese e dei consumatori la coesistenza di un euro forte e di un’economia reale debole, da un lato poco dinamica e, dall’altro, sottoposta ad una pressione fiscale ed una burocrazia asfissiante, rischiano di farci perdere anche questo treno per la ripresa.

L’esperienza dell’ultimo Governo Prodi insegna che al di là della popolarità che tali misure possono riscuotere sull’elettorato, a seconda del grado di fiducia di imprese e consumatori, esse possono generare un impatto molto limitato sul sistema economico. Il timore che proprio la sfiducia che si respira nel paese reale possa vanificare gli sforzi e, pertanto, non fungere da stimolo per i consumi interni e per gli investimenti è, purtroppo, concreto.

Perché si verifichino gli effetti sperati occorre, dunque, agire prioritariamente sul terreno della fiducia e occorre farlo in chiave europea. La politica economica europea deve fare un passo avanti, non rinnegando se stessa, ma portando a pieno compimento quell’ideale ispiratore che ha sin qui guidato il processo di integrazione, quell’economia sociale di mercato di cui al momento si è visto più il lato del rigore che quello della tutela dei diritti sociali.

I padri dell’economica sociale di mercato – pensiamo ad Alfred Müller-Armack e Wilhelm Röpke in Germania, ma anche a Luigi Einaudi e Luigi Sturzo in Italia – immaginavano una politica economica improntata alla libertà integrale e indivisibile, che restasse fedele ai principi del liberalismo politico, che sposasse il principio della libera concorrenza e non teorizzasse alcuna limitazione delle garanzie sociali a favore della libertà e viceversa. Tale modello economico doveva favorire la crescita poiché è da essa che scaturiscono le prestazioni sociali e tutte le possibili garanzie: i salari, le pensioni, le rendite, nonché la formazione del capitale presso la più ampia base possibile di popolazione.

Proprio su questo terreno, e non su quello dello sforamento del vincolo del 3% sul PIL, il Governo Renzi dovrebbe sfidare le istituzioni europee proponendo, cioè, – a fronte del rispetto degli impegni sulla riduzione del debito – un “Piano” straordinario di “interventi conformi”, gestiti direttamente dalla Banca Europea degli Investimenti, sotto la supervisione della Commissione e del nostro Ministero dello Sviluppo Economico, in grado di rendere il nostro Paese una piattaforma delle opportunità, lasciandoci così alle spalle questo penoso scenario di svalutazione interna e di crisi dei diritti sociali.

Si tratterebbe di un grande “Piano” di investimenti in partenariato pubblico-privato attraverso cui realizzare quegli interventi strutturali (nel settore delle infrastrutture e dei trasporti, delle reti digitali, della scuola e dell’università, della valorizzazione beni culturali, dell’energia e della ricerca) necessari alla crescita e, nello stesso tempo, supportare il nostro sistema industriale nel processo di riallineamento competitivo mediante l’aumento della produttività del lavoro e la riconversione verso settori a maggiore valore aggiunto.

Oltre al rispetto degli impegni sul fronte del debito, a fronte di tali investimenti pubblico-privati, l’Italia dovrebbe però realizzare riforme tese ad una completa apertura concorrenziale del mercato interno, ad una semplificazione delle norme ed una riduzione delle garanzie poste a tutela degli interessi legittimi nei settori interessati dal Piano, nonché a concedere sgravi fiscali, sotto forma di “buoni d’imposta”, in favore delle nuove iniziative sviluppate nell’ambito del Piano.

Una tale politica economica – sebbene transitoria e volta a sostenere il riallineamento competitivo del Paese – avrebbe il pregio, da un lato, di completare il processo di apertura del mercato interno e, dall’altro, proprio grazie all’esistenza del mercato unico europeo, di generare benefici ed opportunità di crescita per l’intero sistema economico dell’UE. Infine – poiché accompagnerebbe il processo di spendig review, contribuendo a ridefinire il peso delle componenti del reddito nazionale – permetterebbe all’Italia di realizzare sia le tanto invocate riforme strutturali sia una sostenibile riduzione della pressione fiscale senza mettere a rischio i diritti sociali, abbandonando definitivamente l’ormai obsoleto ed insostenibile binomio diritto sociale-prestazione pubblica, a fronte di un più moderno sistema solidale e sussidiario, altamente inclusivo e partecipato.

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