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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Tino Oldani apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Da destra a sinistra, ormai è un coro: il premier Matteo Renzi avrà pure delle idee, ma i soldi per realizzarle non ci sono, perché le casse dello Stato sono vuote. Appena pochi giorni fa, il governo uscente non riusciva a trovare neppure un miliardo per la cassa integrazione in deroga. Figuriamoci se adesso, di colpo, possono saltare fuori cento e passa miliardi per realizzare tutte le riforme promesse dal premier davanti al Senato e alla Camera. Nada de nada. Quanto al famigerato limite del 3 per cento nel rapporto deficit-pil che Renzi si è impegnato a scavalcare addirittura con il beneplacito europeo, offrendo in cambio un primo pacchetto di riforme taglia-spesa, non c’è un solo uomo politico che ci creda, né in Italia né in Europa. E il commissario Ue per l’economia, Olli Rehn, interpellato in proposito, ha troncato di netto le illusioni di Renzi citando semplicemente il nome del nuovo ministro dell’Economia, del quale evidentemente si fida di più: «Padoan sa bene cosa fare».

LA STRATEGIA DI RENZI

Non credo tuttavia che Renzi accetterà di farsi continuatore della politica di austerità imposta dall’Europa e subìta dai governi Monti e Letta che l’hanno preceduto. Il nuovo premier non è un economista, ma un politico assetato di vittorie e di consensi. In vista delle elezioni europee del 24-25 maggio, si era convinto che, andando avanti con il governo Letta, paralizzato di fatto dai veti europei, il suo Pd avrebbe perso di brutto. Per questo non ha esitato a far fuori Enrico Letta in modo brutale per prenderne il posto. Lui, Renzi, le elezioni europee vuole vincerle. E sa che se il movimento di Beppe Grillo prendesse anche un solo voto più del Pd, per lui sarebbe la fine. Lo sa lui, e lo sanno tutti in Europa, dove la marea montante dei partiti anti-euro comincia a fare paura ai cultori dello status quo e dell’austerità.

IL QUADRO EUROPEO

Un Parlamento europeo fortemente condizionato dalla presenza dei grillini e dei leghisti italiani, dai lepenisti francesi, e dagli euroscettici greci, tedeschi, inglesi e di altri Paesi, potrebbe segnare la fine dell’attuale nomenclatura politica e burocratica europea, e di conseguenza sovvertire la politica economica stile Merkel e, al dunque, minare l’euro dalle fondamenta. Per evitare che ciò accada, nei prossimi mesi la politica europea sarà un po’ meno austera, per non dire tollerante. Un primo segnale l’ha dato nei giorni scorsi il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, quando ha affermato che «non possiamo più accettare questi livelli di crescita così bassi in Europa». Per questo l’Europa, sia pure senza un avallo esplicito di Berlino, si prepara a chiudere un occhio se i Paesi dell’Eurozona maggiormente in crisi aumenteranno la spesa pubblica, a patto che sia destinata agli investimenti e alla riduzione del costo del lavoro, per creare nuova occupazione. In casi simili, il rientro nei parametri sarà spostato in avanti di qualche anno. Guarda caso, questo sembra proprio il caso dell’Italia. E per Renzi, la conferma di una regola vecchia come il cucco: in politica, più che la competenza, conta il «fattore c.». Ovvero, basta arrivare al momento giusto nel posto giusto. Molti, a suo tempo, lo dicevano anche di Romano Prodi, un premier baciato dalla fortuna oltre i suoi meriti.

L’ANNUNCIO DI RENZI

Così, se la scelta da compiere è tra il sondaggio di Nando Pagnoncelli e il Fiscal Compact, non ho nessun dubbio che Renzi sceglierà il primo. Quel sondaggio, pubblicato sul Corriere della sera, rivela che due italiani su tre sono d’accordo con Renzi nello scavalcare il 3 per cento, cosa vietatissima dal Fiscal compact. Ma, in vista delle elezioni europee, grazie al «fattore c.», qualche eccezione sarà tollerata anche a Bruxelles. Ecco allora l’annuncio di Renzi sulla riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale, che metterà 50 euro nette in più in busta paga per le fasce di reddito più basse. Costerà 10 miliardi e per il ministro Padon non sarà facile trovarli. Ma la mossa è doppiamente valida: non solo riduce il costo del lavoro per le imprese (come richiesto dalla Confindustria), ma appaga i tanti italiani che di solito votano con il portafoglio. E tra questi vi sono anche i lavoratori dipendenti, che alle europee avrebbero un incentivo concreto per votare il Pd di Renzi. «Perché scandalizzarsi? La politica è questa!» ha commentato a Ballarò perfino un giornalista solitamente molto critico verso Renzi come Peter Gomez del Fatto Quotidiano. Ed è vero. Come è vero che il «fattore c.» unito all’uso spregiudicato della politica di bilancio cominciano a delineare la vera cifra politica del nuovo premier.

E SE VINCESSE GRILLO?

Idem come sopra per i due miliardi che il governo intende investire nella manutenzione degli edifici scolastici (cosa puntualmente prevista da ItaliaOggi). È probabile che Renzi non aspetti l’inizio del semestre europeo (il primo luglio) per fare vedere a un milione di insegnanti e ai genitori degli alunni i primi cantieri intorno alle scuole più disastrate. Per il Parlamento europeo, si vota a fine maggio. Dunque, almeno i ponteggi si dovranno montare prima. Sarà una corsa contro il tempo, con il cuore in gola. Qui il premier non si gioca soltanto la faccia, ma molto di più. E se il Pd alle europee prenderà un voto in meno rispetto a Grillo, allora anche il «fattore c.» di Renzi non conterà più nulla. Finish!

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