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Dalla seconda metà del 2013 l’eurozona sta sperimentando una riduzione del tasso di inflazione che è ora su livelli molto bassi (Fig. 1). I dati preliminari diffusi da Eurostat per il mese di marzo hanno evidenziato un tasso di inflazione al consumo in ulteriore rallentamento, 0.5% rispetto allo 0.7% di febbraio, in linea con la stima flash ma inferiore alle attese di consensus (0.6%).

La riduzione del tasso di crescita dei prezzi di questi mesi è in larga parte riconducibile ai beni caratterizzati da maggiore volatilità, prodotti alimentari freschi ed energetici, anche se a marzo la componente “core” è tornata in calo, allo 0.8% dall’1% di febbraio secondo i dati preliminari.

L’andamento dei prezzi è inoltre piuttosto eterogeneo tra i Paesi dell’Unione, con tassi di inflazione superiori all’1% in quelli della “core Europe” e intorno allo zero nei “periferici”, tra i quali solo la Grecia presenta un valore molto negativo (-0.9%), anche se in progressivo miglioramento negli ultimi tre mesi. Nel 2009, invece, si registrarono cali su base annua anche nei Paesi della “core Europe”.

Uno scenario di bassa inflazione rappresenta comunque un problema per le prospettive di ripresa economica rendendo più costoso il credito in termini reali, con effetti restrittivi per il settore privato e un più alto costo reale del debito per il settore pubblico, soprattutto per i Paesi “periferici”, già duramente colpiti dalla crisi. Inoltre, la stessa Banca centrale europea si attende una prolungata fase di bassa inflazione, seguita solo da una graduale risalita verso livelli prossimi al 2% entro la fine del 2016 (1.7% la previsione formulata a inizio marzo).

Tuttavia, i livelli minimi raggiunti dall’inflazione e le attese di ulteriori riduzioni nel breve termine implicite nei mercati dei derivati non possono non destare qualche preoccupazione. Gli strumenti finanziari legati all’inflazione (cosiddetti “inflation-linked”) sono utilizzati per effettuare inferenza sulle aspettative di inflazione e sui tassi di interesse reale e dagli anni ’90 hanno registrato un notevole sviluppo. Un inflation swap è un accordo bilaterale in cui una parte effettua un pagamento periodico a un tasso variabile legato all’inflazione (cosiddetta gamba variabile del contratto) ricevendo in cambio un pagamento a un tasso fisso predeterminato (gamba fissa): la gamba fissa rappresenta quindi il tasso di inflazione attesa dagli operatori lungo la durata del contratto.

Storicamente si è osservato che le aspettative di inflazione a più lungo termine presentano un aggiustamento lento e contenuto rispetto all’andamento effettivo dell’inflazione, mentre quelle di più breve termine, maggiormente rilevanti per le decisioni di spesa degli operatori, mostrano una correlazione più elevata (Fig. 1).

Fig. 1 – INFLAZIONE CORRENTE E ATTESA NELL’UEM

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Fig. 2 – INFLAZIONE ATTESA E TASSO DI POLITICA MONETARIA NELL’UEM(a)

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Fonte: Thomson Reuters, Bloomberg, elaborazioni Prometeia; dati al 31/3/14.
(a) Il tasso forward 2a2a indica il tasso di inflazione a 2 anni atteso dopo 2 anni; il tasso forward 5a5a indica il tasso di inflazione a 5 anni atteso dopo 5 anni.

Le riduzioni del tasso sui rifinanziamenti principali, iniziate alla fine del 2011, sembrano essere molto correlate con l’andamento delle attese di inflazione a più breve termine, come se la Bce avesse ridotto i tassi di policy in risposta a una riduzione prolungata del tasso di inflazione attesa nel breve periodo (Fig. 2). Ma quali sono ora i mezzi a disposizione della Banca centrale nel caso l’inflazione si mantenesse più bassa di quanto previsto e il tasso atteso di inflazione continuasse a ridursi?

Il tasso di politica monetaria è prossimo allo zero e, tra gli strumenti non convenzionali, la mancata sterilizzazione delle operazioni all’interno del Securities Markets Programme (SMP) potrebbe avere effetti espansivi di brevissimo termine, dato che i titoli acquistati potrebbero scadere entro l’anno, come dichiarato da Draghi. La Bce potrebbe portare su valori negativi il tasso sulla remunerazione dei depositi delle banche presso la banca centrale e/o effettuare nuove aste di rifinanziamento a lungo termine, questa volta vincolate all’erogazione di prestiti all’economia reale. Manovre più aggressive come l’Outright Monetary Transactions (OMT) o altre misure di allentamento quantitativo sono accompagnate dal timore di possibili effetti restrittivi legati ai vincoli legali che accompagnano il ricorso a tali misure.

Gli strumenti non mancano e negli ultimi giorni c’è stata una qualche forma di apertura da parte del consiglio direttivo della Bce da sempre contraria a misure di quantitative easing. Apertura che non ha escluso la possibilità di acquisto di titoli di Stato da parte della Bce, purché limitato a quelli posseduti da banche, investitori e risparmiatori, quindi sul mercato secondario come avvenuto nel programma SMP. A differenza di quest’ultimo e dell’OMT, un programma di allentamento quantitativo – che preveda un ammontare di acquisto limitato nel tempo e non circoscritto a pochi Paesi – potrebbe rappresentare uno strumento idoneo al perseguimento del mandato della Bce, ossia la stabilità dei prezzi.

L’analisi completa si può leggere qui

Prometeia intima a Draghi di fare l'americano per combattere la deflazione

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