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Non ho mai perdonato a Claudio Scajola le espressioni ingiuriose che rivolse al mio amico Marco Biagi poco dopo la sua uccisione ad opera delle Brigate Rosse (un errore grave che Scajola pagò dimettendosi da ministro). Per questo motivo, pur militando nello stesso partito ed essendo seduti a pochi scranni di distanza alla Camera nella trascorsa legislatura, tra noi non c’è mai stato nulla che non fosse normale cortesia.

Scajola poi appartiene a quella categoria di politici che io chiamo “uomini de panza” ovvero persone che sanno gestire il potere attraverso i legami che stabiliscono nel territorio. Una categoria a cui io non appartengo, o almeno non appartengo più da anni, anche se nel corso della mia lunga vita ho avuto del potere, sempre collegato alle cariche – politiche o istituzionali – che di volta in volta ho ricoperto.

Il potere dà dipendenza (si dice che sia meglio comandare che fottere) e spesso porta ad abusarne proprio per dimostrare di avere la possibilità di farlo (come dice Alberto Sordi/Marchese del Grillo? “Io son io e voi non siete un c….”). Mantenere, aumentare e consolidare il potere (in politica non è diverso da quanto accade in un’azienda, nelle università, in un giornale o in qualunque altra comunità di persone e di interessi) è un lavoraccio perché non va soltanto costruita ed alimentata una “rete di amicizie”, ma occorre pensare e provvedere anche alla  carriera di coloro che fanno parte della cordata, perché il loro accesso a posizioni di potere amplifica anche quello di colui che sta al vertice. Insomma essere uomini di potere – dal mio punto di vista – è una disgrazia perché si finisce per prendersi in carico una sequela di famiglie da mantenere. Ma non divaghiamo ulteriormente.

Claudio Scajola è stato assolto nel processo per l’appartamento in faccia al Colosseo “perché il fatto non costituisce reato”. Ovviamente il provvedimento di assoluzione ha colto di sorpresa i tg (poi assisteremo alle ‘’grida di dolore’’ dei mozzorecchi della carta stampata) perché il processo mediatico – quello che conta –  si era celebrato da tempo e si era chiuso con una condanna. La casa incriminata divenne persino meta dei turisti essendo ad un tiro di schioppo dal Mosè e dalla zona archeologica.

Ma perché va sempre a finire così? Ormai la trafila la conosciamo. Dapprima parte la campagna di stampa, puntualmente imbeccata immaginiamo anche da chi (non somigliano a Bob Woodrow e a Carl Berstein i nostri giornalisti d’inchiesta: loro gli scoop non li vanno a cercare; glieli portano già confezionati in redazione i ‘’servizi’’). Poi le procure avviano una indagine, sorretta più dalla campagna di stampa che da prove concrete, dove tutto si tiene: l’opportunità come l’illecito penale. Tutto fa gogna.

Ecco perché ho apprezzato la sentenza di assoluzione di Claudio Scajola: non se ne può più di un andazzo in cui non si riesce a distinguere tra questioni di opportunità politica e di condotta perseguibile penalmente. Non so come siano andate le cose tra Scajola e il costruttore Anemone, ma un giudice ha ritenuto che quei rapporti non costituissero fattispecie di reato.

Diverso è l’aspetto dell’opportunità politica: non a caso Scajola, in seguito a quei fatti, si è dimesso da ministro. Direi quindi che – magari “a sua insaputa” – è stato più che corretto. In queste ore sono venute anche le dimissioni del ministro Nunzia De Girolamo. Sorprende in quella vicenda che la si accusi (prima sui media, poi si è mossa la procura: come volevasi dimostrare) di essersi occupata dei problemi della sanità della sua area di influenza, dove si fa politica con il coltello piantato sotto il tavolo, tanto che capita di portarsi in casa chi registra le conversazioni durante una riunione riservata.

Da  ministro, De Girolamo si era messa alla testa dei picchetti che sulle autostrade fermavano i Tir stranieri, ne forzavano le serrature per denunciare l’importazione, assolutamente legale, di prodotti agricoli e semilavorati zootecnici. Sicuramente si trattava di violenza privata e danneggiamento: ma nessuno ha detto beo, né sul piano penale né su quello dell’opportunità politica.

Ma poi, diciamoci la verità: Enrico Cuor di Leone Letta è andato in Aula a difendere Anna Maria Cancellieri, la quale (chi scrive l’ha difesa) qualche telefonata di troppo dal ministero di via Arenula l’aveva fatta. Infine, arriviamo alla vicenda del presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua. Si dice che sia indagato per fatti gravi. Staremo a vedere. Intanto è tornata fuori la storia dei numerosi incarichi ricoperti, dimenticando ovviamente di dire che molte di queste prebende sono connesse alla carica di presidente dell’Inps, a cominciare dalla vice presidenza di Equitalia e dalla presidenza dei fondi immobiliari.

Che Mastrapasqua fosse un collezionista di poltrone, poltroncine, strapuntini e sgabelli lo si sapeva dal 2008 quando venne nominato presidente dell’Inps. Sicuramente è un professionista stimato e fortunato. Nel 2008, peraltro, richiesta del parere di competenza, la Commissione Lavoro della Camera lo diede all’unanimità in modo favorevole. Non basta; nel 2011, quando nel decreto Salva Italia il governo Monti pensò bene di dare vita ad un mostro amministrativo come il superInps, ne affidò la guida, fino a tutto il 2014, al presidente in carica pro tempore ovvero allo stesso Mastrapasqua che così venne ‘’blindato’’ per altri tre anni.

Parliamo di Scajola, De Girolamo e Mastrapasqua senza troppe ipocrisie?

Non ho mai perdonato a Claudio Scajola le espressioni ingiuriose che rivolse al mio amico Marco Biagi poco dopo la sua uccisione ad opera delle Brigate Rosse (un errore grave che Scajola pagò dimettendosi da ministro). Per questo motivo, pur militando nello stesso partito ed essendo seduti a pochi scranni di distanza alla Camera nella trascorsa legislatura, tra noi non…

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