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Un po’ si resta sorpresi dall’attacco finale del Corriere della Sera e del Financial Times a Giorgio Napolitano, che sicuramente non ha complottato contro la Costituzione ma esce dalle varie indiscrezioni raccolte (si ha un bel dire “sapevamo tutto”: quando il ragazzetto dice “il re è nudo”, tutto cambia) come figura immersa in improprie e ineleganti chiacchiere diplomatico-salottiere, senza dubbio non degne di un impeachment ma certo assai poco commendevoli. Il protagonista, come dice il quotidiano della City con il solito spirito colonialistico, di un “italian job”, di un imbroglio all’italiana.

In qualche modo un’accelerazione drammatica che non ci si aspettava dal così quirinalizio quotidiano di via Solferino (in Largo Fochetti infatti si è inveperiti – basta leggere Massimo Giannini – per la mossa debortoliana perché si teme che anche il prossimo possibile inquilino del Colle, anche l’amico Romano Prodi possa finire più condizionato dal Corriere che dalla Repubblica) e neanche dai cicisbei londinesi concentrati da anni a dire “ma quanto sono bravi Napolitano, Monti e via così” e a isolare il malvagio Berlusca a cui adesso si fa invece un grazioso regalo.

E’ difficile credere che episodi di tal fatta possano derivare essenzialmente dall’estenuata scena politico-economica-mediatica italiana impegnata sostanzialmente a leccarsi le ferite. Qualche spiegazione in più la si trova se si considera il coté largamente angloamericano della “mossa” che ha come front runner Alan Friedman. E in questa ottica si ragiona sulla crescente freddezza tra Berlino e Washington (spioni dice la gran maggioranza della stampa tedesca  – come fa osservare il Wall Street Journal – degli americani, “Fanculo Unione” risponde l’ambasciatrice, vi azzopiamo Draghi fanno capire dalla Germania, state rovinando il mondo fanno notare dalla Casa Bianca).

Se si registra quanta difficoltà stia riscontrando e da entrambe le sponde dell’oceano il patto per un mercato transatlantico, non è difficile immaginarsi come ambienti a stelle e strisce ai quali non aggrada un’espansione dell’egemonia tedesca – e per di più accompagnati da una finanza angloamericana che, un po’ per tradizionale avidità un po’ per sana preveggenza, non vede di buon occhio i pasticci bancari di Palazzo Chigi – siano preoccupati dell’inconsistenza dei Napolitano e dei Letta non in grado di frenare i giochi di Frau Merkel (anche l’ultimo appello ai tedeschi fatto a Strasburgo dal presidente della nostra repubblica è apparso privo di nerbo). E’ da simili sentimenti che potrebbero ragionavolmente essere derivati comportamenti più o meno coordinati, ma alla fine convergenti, tesi a liquidare gli eroi del giorno prima, puntando tutte le fiche sulla nuova star del momento cioè Matteo Renzi.

Lo stile con cui si alimenta, poi, cotesta nuova ondata, fa rammentare di quella famosa frase che Platone attribuisce a Socrate nel Fedone: ὥσπερ περὶ τέλμα μύρμηκας βατράχους περὶ τὴν θάλατταν οἰκοῦντας, viviamo intorno a un mare come rane intorno a uno stagno. C’è un saporino egiziano in certe sbrigative svolte: Hosni Mubarak non va più bene perché i sauditi suoi protettori tramano troppo con i francesi? Ecco pronto Mohamed Morsi e i suoi fratelli musulmani per aprire una nuova fase. Morsi fa inquietare la borghesia laica, apre smodatamente ai fondamentalisti, non sa mantenere l’ordine? Alè! Ecco che si torna ai militari murabakkiani e al loro Abdel Fatah al Sisi.

La sensazione di non essere che una ranocchia della sponda nord dello stagno è fortissima. Certamente non sarebbe male trovare qualche ideuzza per recuperare la dose minima di dignitosa sovranità nazionale possibile.

Nel frattempo va osservato che come un tempo si diceva “Viva i marines contro la Wermacht”, oggi comunque non si possa non preferire la Fed rispetto alla Bundesbank.

Tutte le scosse geopolitiche che stanno terremotando Quirinale e Palazzo Chigi

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