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Mauro Moretti, l’amministratore delegato delle ferrovie italiane, non ha sicuramente un carattere facile. Formatosi, come ingegnere, in parte sul campo e in parte nella Cgil, è abituato a dire ciò che pensa con schiettezza e senza giri di parole. Non deve, quindi, sorprendere che, nel dibattito sul taglio degli stipendi annui dei manager di stato, sia entrato nella discussione a gamba tesa, esponendo la sua totale contrarietà personale senza peli sulla lingua.

CHI DECIDE LO STIPENDIO DI UN MANAGER

Per Moretti 250 mila euro lordi annui di stipendio per un amministratore delegato che produce centinaia di milioni di utili sono inadeguati. Giusto? Sbagliato? In un’economia di mercato il prezzo di un manager, cioè il suo stipendio, dovrebbero stabilirlo in piena autonomia la domanda e l’offerta. Il track record e l’avviamento vantato dal manager e la dimensione del budget e dei risultati a lui affidati. Ma le imprese di stato sono, da sempre, in una dimensione peculiare, perché il prezzo in questo caso lo fissa la politica con metodi né scientifici, né razionali. L’azionista pubblico fissa un parametro e lo applica a tutti. Giusto? Molto difficile dirlo, perché siamo nello spazio del quasi mercato, a volte perfino del non mercato, dove riferimenti puntuali mancano.

I MANAGER BRAVI COSTANO DI PIU’

Certo è che Moretti le Ferrovie italiane le ha risanate per davvero. Per molti decenni hanno accumulato bilanci in perdita e ingenti disavanzi annui scaricati sulle tasche dei contribuenti. Da sei anni, invece, il bilancio chiude in nero. Nel 2013 dovrebbe chiudere con un ebitda di circa 2 miliardi di euro e un utile netto verso i 600 milioni, visto che nel primo semestre è stato di 278. La posizione finanziaria netta è positiva per circa 8 miliardi e la redditività gestionale (ebitda/ricavi) superiore al 23%. Moretti, dunque, il suo stipendio come manager se lo è sicuramente guadagnato. Avrebbe raggiunto gli stessi risultati se fosse stato pagato di meno? Ancora una volta è impossibile rispondere. Quello che appare più chiaro è la complessità della materia. I manager bravi, quelli capaci di performare sopra la media, costano di più. Stipendi annui eccessivamente bassi potrebbero produrre una selezione avversa a scapito degli azionisti-cittadini: manager meno capaci e meno utili da distribuire, magari anche manager più disposti ad arrotondare il compenso ridotto in maniera non lecita. Perché è bene ricordare – e chi scrive può permetterselo avendo su questo giornale più di due anni fa denunciato il fatto che due dirigenti del Ministero dell’economia guadagnavano quanto la somma di Obama, Bernanke, Geithner e Shapiro («Superstipendi pubblici da legge Bassanini» del 25/2/2012) – che in questa discussione c’è anche un eccesso di populismo.

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