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Il 18 gennaio, la stagione lirica del Teatro Massimo di Palermo viene inaugurata con un’opera poco nota in Italia: Feursnot di Richard Strauss. E’ il secondo lavoro per il teatro in musica del compositore. Il primo, un dramma medioevale post-wagneriano Guntram (presentato nel 2005 in prima italiana a Catania) era stato un insuccesso e Strauss (di cui ricorrono i 150 anni dalla nascita), aveva deciso di non perseguire più questo genere, tanto più che apprezzato direttore d’orchestra e compositore di poemi sinfonici e cameristica. Fu il poeta Ernst von Wollzogen, uno dei più colti e raffinati dell’epoca, a convincerlo a tornare al teatro. Cambiando, però, strada: dal dramma alla commedia. La stesura del libretto – caratterizzato da una versificazione elegante – fu lunghissima: la decisione di redigere testo e musica per un nuovo lavoro per la scena fu presa nel 1899 ma la prima, a Dresda,ebbe luogo nel novembre 1902.

In Germania, l’opera (un atto unico di un’ora e mezza) è sempre stata in repertorio. In Italia la si è vista alla Scala nel 1912 ed alla Scala nel 1938 (con Strauss sul podio); in ambedue i casi in versione ritmica italiana. E’ stata , poi, eseguita in versione di concerto in lingua originale nel 1973 alla Rai, con Peter Maag alla bacchetta. Feursnot ha avuto un certo successo non soltanto nel mondo tedesco ma anche negli Usa (dove ha trionfato al Festival di Santa Fe nel 1988); si è vista sovente a Filadelfia ed a New York negli anni ’30, nelle “stagioni” in lingua tedesca, ma è stata ripresa alla Manhattan School of Music solo nel 1985 (non sono mancate, nel frattempo, edizioni in teatri universitari). A Palermo, in effetti, ha luogo una prima italiana in tempi moderni. Potrebbe essere l’avvio verso una nuova fortuna.

Cosa spiega questo oblio? In primo luogo, il testo: è un linguaggio così curato che è arduo tradurlo. Non per nulla, negli Usa, la ripresa dell’opera ha coinciso con la diffusione dei sovra titoli. Il titolo stesso Feursnot è stato tradotto nelle versioni italiane I fuochi di San Giovanni mentre la traduzione letterale è “I fuochi spenti” o meglio “I fuochi che si spengono”. Si ricollega alla tradizione di Monaco di Baviera, nella notte di San Giovanni, di accendere fuochi attorno ai quali scherzare, danzare ed intrecciare flirt;il protagonista (un giovane mago), preso in giro dalla ragazza di cui si è innamorato (lei lo lascia a penzolare in una cesta dopo averlo invitato a salire sul suo balcone), li fa spegnere e tutta la città chiede alla giovane di farlo arrivare al terrazzino in modo ce i fuochi vengano riaccesi e la festa continui.

In secondo luogo, Strauss, benché nato e cresciuto proprio a Monaco, si considerava un ‘settentrionale’ (anche in quanto in Baviera i suoi inizi non erano stati facili ed il compositore che più ammirava, Wagner, proprio lì, ne aveva viste, e patite, di tutti i colori). Quindi, testo e musica sono pieni di ironia nei confronti dei “meridionali” (quelli della Germania del Sud), difficilmente apprezzabili in Italia. A Palermo, mentre il cast vocale è quasi interamente tedesco, la regia è affidata a Emma Dante e la direzione musicale a Gabriele Ferro, due siciliani puro sangue.

La partitura di Feursnot è molto interessante. Da un lato, guarda al Wagner de I Maestri Cantori di Norimberga. Da un altro ancora, è sotto l’influenza di compositori contemporanei al lavoro come Mahler ed anche Bruckner. Da un altre, i valzer, le filastrocche, la voce baritonale del protagonista maschile e quella di soprano “assoluto” per la protagonista femminile sono presagi di Der Rosenkavalier del 1911.

"I fuochi spenti" inaugurano la stagione lirica di Palermo

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