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Ariel Sharon – generale, più volte ministro e presidente del consiglio dei ministri d’Israele dal 2001 alla fine del 2005 – è sicuramente una delle figure più controverse dei sei decenni di storia dello Stato Ebraico, della quale è stato un protagonista. È stato sia da militare sia da politico un personaggio imprevedibile, discusso, criticato o esaltato.

ALTI E BASSI
La sua carriera ha avuto alti e bassi. Era abituato a fare di testa sua. Le sue concezioni strategiche e tattiche hanno comunque grandemente influenzato la dottrina operativa e tattica israeliana. Era certamente un duro. Si è sempre comportato da capo guerrigliero, più che da ufficiale di un esercito regolare, anche quando fu al comando di una brigata, come a Passo Mitla nel 1956, o di una divisione, come nella guerra “dei sei giorni” del 1967 o di quella dello Yom Kippur, nel 1973. Certamente, fu sempre influenzato dall’esperienza personale e dalle condizioni eccezionali dovette operare all’inizio della sua vita.

GLI ANNI DELLA GIOVINEZZA
A quattordici anni era entrato a far parte del Gadna – programma di addestramento premilitare volto a preparare negli anni trenta i giovani ebrei all’autodifesa. A meno di quindici anni era divenuto membro dell’Haganah, la formazione da cui ebbero origini non solo le formazioni terroristiche Irgun e Banda Stern, che tanto filo da torcere dettero ai britannici che occupavano la Palestina, ma le stesse Forze Armate Israeliane (IDF – Israeli Defence Force). Partecipò alla guerra d’indipendenza del 1948 e fu attivo prima nella cacciata dei Palestinesi dalla “Terra Promessa”, poi nel comando dell’“Unità speciale 101”, incaricata di effettuare raid punitivi contro i villaggi palestinesi, da cui partivano gli attacchi contro gli insediamenti ebraici. A tale periodo appartiene l’episodio, a parer mio, più discutibile della sua storia militare: il massacro di Qibya, in cui furono massacrate una settantina di persone.

EROE O CRIMINALE?
Per taluni è stato un eroe nazionale; per altri un criminale di guerra, responsabile nel 1982 delle stragi nei campi palestinesi di Sabra e Shatila, quando ministro della difesa aveva spinto l’operazione “Pace in Galilea” in Libano fino a Beirut. Fiamma Nirenstein afferma che “non è stato un falco, ma una colomba di acciaio”. Il giudizio varia evidentemente a seconda delle convinzioni politico-ideologiche di chi lo formula. Dovrebbe essere contestualizzato nella situazione in cui via via si trovò Israele, piccolo Stato circondato da nemici che ne volevano la distruzione. Sharon non fu un ideologo messianico. Fu un pragmatico. Seppe sia da politico che da militare adattarsi alle circostanze, senza temere di essere criticato per aver cambiato idea.

IL PROFILO POLITICO
Sotto il profilo politico, fu contraddittorio. Fu uno dei principali esponenti della destra secolare. Fondò il Likud. Si oppose al trattato di pace con l’Egitto e poi ad Oslo. Sostenne la costruzione del muro – che per taluni è di sicurezza, per altri di aparteheid – e la costruzione accelerata d’insediamenti nei territori occupati. Con la sua visita provocatoria alla Spianata della Moschea di Al-Aqsa dette origine alla seconda Intifada, che poi represse con la massima energia. Nel 2005, mutò di rotta a 180°. Abbandonò il Likud e fondò il Kadima, partito di centro, disponibile a un negoziato con i Palestinesi.

IL CAMBIO DI ROTTA
I motivi che l’hanno indotto a mutare in modo tanto radicale e improvviso di opinione sono discussi. Vanno probabilmente ricercati nei mutamenti in corso nell’opinione pubblica statunitense, sebbene fosse riuscito a convincere Bush jr. che la lotta di Israele contro al-Fatah non fosse altro che una componente della “guerra al terrore” che il presidente USA e i neoconservatori conducevano con tanto furore anche ideologico. La decisione più controversa presa da Sharon fu quella del ritiro dalla Striscia di Gaza, dello smantellamento degli insediamenti ebraici e del trasferimento forzato degli 8-9.000 coloni che vi abitavano. Deve essere stato duro per Sharon, che in gioventù aveva cacciato i palestinesi, far cacciare allora i coloni ebrei dalle loro case. Di certo, voleva tentare una soluzione definitiva al contrasto fra Israele e l’Autorità Palestinese. La malattia che lo colpì nel dicembre 2005 glielo impedì.

IL PROFILO MILITARE
Sotto il profilo militare, Sharon era consapevole della debolezza di Israele, immerso nel mondo arabo. Come lo stesso Ben Gurion, era persuaso che il nuovo Stato potesse sopravvivere solo incutendo timore; dotandosi quindi di una capacità offensiva e non solo di una difensiva, sempre molto più costosa. Era incompatibile con le risorse dello Stato ebraico. Poiché Israele non poteva essere amato; non aveva alternativa all’essere temuto. L’intera strategia e le dottrine operative e tattiche di Israele – costantemente riflesse dal comportamento di Sharon, comandante militare – sono informate a tale principio. Sotto il profilo strategico, Israele non ha alternativa, per garantire la propria sicurezza, all’adozione di una particolare forma di dissuasione.

LA STRATEGIA DI ISRAELE
Essa è basata su una successione di operazioni offensive, molto limitate nel tempo, rapide e violente, sull’attacco preventivo, sulla rapidità, sulla sorpresa e sullo sfruttamento del proprio superiore addestramento e capacità tecnologiche. Tali attacchi si prefiggono una vittoria militare solo parziale e a breve termine. I risultati a lungo termine sono quelli di ricreare il timore della superiorità militare israeliana, quindi di ristabilire la dissuasione. I leader israeliani sono consapevoli delle limitazioni temporali esistenti alla loro libertà d’azione. Dopo un certo periodo, superato il pericolo di distruzione dello Stato Ebraico, la comunità internazionale li costringerebbe a ritirarsi e a ricercare una pace che rimane un sogno irraggiungibile, anche perché i vari regimi arabi hanno finora sfruttato le disgrazie dei Palestinesi, per legittimarsi al loro interno. Forse le cose stanno mutando con la radicalizzazione dello scontro fra Sunniti e Sciiti e fra Salafiti e Fratelli Musulmani.

IL MASSACRO DI SABRA E SHATILA
L’evento più controverso della carriera politica di Sharon riguarda il suo comportamento quando, nel 1982, da ministro della difesa, convinse il governo israeliano ad attaccare il Libano, affermando che l’offensiva si sarebbe fermata al fiume Litani, a pochi km dal confine e che aveva solo lo scopo di costituire una fascia di sicurezza a protezione della Galilea dai continui attacchi dal territorio libanese. Sharon mentì al suo governo e l’“Operazione Pace in Galilea” fu spinta fino a Beirut, coinvolgendo Israele nel ginepraio libanese. I Falangisti cristiano-maroniti approfittarono della presenza israeliana per effettuare una sanguinosa rappresaglia contro i campi di profughi palestinesi di Sabra e Shatila – alla periferia di Beirut – da cui pensavano avesse avuto origine l’attentato che aveva uccise il loro capo, Bashir Gemayel. Il massacro di un migliaio di palestinesi provocò una grande emozione nello stesso Israele. Essa costrinse il governo a creare una commissione d’inchiesta. Essa accertò che le responsabilità di Sharon erano solo indirette, ma che comunque egli non aveva ottemperato alle sue responsabilità di potenza occupante, che lo avrebbero obbligato a proteggere i palestinesi e lo costrinse alle dimissioni.

MASSIMA ASCESA
Il momento di maggiore gloria militare per Sharon si verificò durante la guerra dello Yom Kippur. In essa, Israele invece di prevenire l’attacco egiziano, adottò una strategia difensiva. Lo Stato Ebraico fu sull’orlo della sconfitta. Sharon, ormai in congedo, fu richiamato e posto al comando di una divisione corazzata. Contrariamente agli ordini, passò subito all’attacco, sfruttando un punto debole dello schieramento egiziano per muovere verso Ovest e penetrare in profondità. Attraverso il deserto, raggiunse il Canale di Suez e lo superò, attaccando alle spalle con poche forze gli egiziani, intercettandone rifornimenti e rinforzi e attaccando il poderoso schieramento di missili contraerei, che aveva fino ad allora impedito all’aviazione israeliana di distruggere le forze attaccanti. Il fronte egiziano crollò. In tale occasione, Sharon fu certamente il salvatore di Israele. Ciò dà ragione del cordoglio generale del popolo ebraico per la scomparsa di un guerriero tanto valoroso e di un personaggio che tanto ha contribuito alla creazione e alla crescita dello Stato Ebraico.

Vita e contraddizioni di Sharon, il generale che salvò Israele

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