Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Perché non tutti gli islamici condannano Isis

Nel mondo ci sono tantissime confessioni religiose, come ben si sa, anche se noi italiani abbiamo cominciato a rendercene conto concretamente, nella nostra vita quotidiana,  soltanto negli ultimi decenni. In passato si trattava esclusivamente di una conoscenza culturale,  non di un reale confronto con le altre civiltà. Oggi, viceversa, in ragione della globalizzazione e dei flussi migratori siamo entrati a contatto diretto con gli altri popoli, o comunque con persone che provengono da civiltà diverse dalla nostra e che o praticano o comunque si riferiscono a fedi diverse.

Oltretutto, anche lo scenario internazionale sta mettendo l’opinione pubblica europea di fronte alla grandissima rilevanza che le religioni hanno a livello politico. Mentre nel XX secolo erano le ideologie, nazionaliste, liberali o socialiste, a farla da padrone, oggi viceversa il fattore confessionale è divenuto un elemento costitutivo delle identità e una causa trainante degli interessi geopolitici complessivi. La violenza terroristica non è che una punta estrema, quindi, di un fenomeno generale che guida i rapporti sociali, caratterizzati appunto da una predominanza della religione come fattore politico. Si tratta, a ben vedere,  di un’influenza normale anche perché ogni civiltà ha un’identità culturale, e ogni rispettiva cultura contiene al suo interno un nucleo di sapere di tipo religioso. Il rispetto della libertà religiosa dei singoli e dei popoli è pertanto una premessa fondamentale per garantire libertà culturale e rispetto per la specificità di ogni persona. Il punto decisivo di questo ragionamento non è però la constatazione di questo dato, ma i problemi che emergono quando persone di diversa cultura, civiltà e religione vivono sullo stesso territorio. Perché in tal caso possono nascere fenomeni di intolleranza, di difficile convivenza e al limite anche di violenza.

Quello che colpisce, nelle vicende che seguono la serie di attentati di Parigi, è che anche il terrorismo, che non ha di per sé un’applicazione ideologica specifica, è divenuto lo strumento bellico con cui un soggetto politico peculiare attua la sua frontale ostilità religiosa contro altri popoli, altre civiltà,  altre culture e altre religioni.Questo è il vero nodo da sciogliere se si vuol comprendere cosa fare davanti a questa terza guerra mondiale, ormai chiaramente delineata come un globale conflitto interculturale. L’Islam, che è uno dei tre grandi monoteismi di origine vetero testamentaria, è, volente o nolente, parte in causa di questo passaggio fondamentalista dalla religione politica alla politica religiosa, dalla presenza pubblica della fede all’uso politico e militare del divino.

In questo senso le dure reazioni che gli Stati Uniti nel trascorso decennio e oggi la Francia stanno applicando, esprimono molto bene come non si tratti di una ritorsione anti islamica, ma di una necessità di difesa che si esprime attraverso l’eliminazione di una pratica violenta e indiscriminata di tipo terroristico motivata e alimentata oggi da uno Stato che spinge i suoi adepti ad uccidere in nome di Dio gli infedeli. Quello che viene spontaneo chiedersi è perché, davanti a questo ragionamento così semplice, che non produce in nessuna vittima una fobia anti islamica ma semmai una tutela della propria libertà religiosa e della tolleranza degli altri, non si senta una voce altisonante da parte islamica che gridi, come ha fatto Papa Francesco, allo scandalo per questa enorme blasfemia. È bello insomma che la massima autorità cristiana intervenga definendo una bestemmia l’uso di Dio a fini terroristici, ma sarebbe ancora più importante se tale strale fosse espresso con forza da tutte le più autorevoli guide spirituali dell’Islam.

Qui forse emerge la vera contraddizione. L’ebraismo è una religione etnica, il cristianesimo è una religione vocazionale, ma in entrambe, sebbene in passato e talvolta anche oggi, non siano mancati usi strumentali e violenti della fede non è possibile la trasformazione del sacro in macchina da guerra da parte di qualcuno senza che ciò produca una totale emarginazione culturale e politica da parte di tutti gli altri. L’Islam è una religione importantissima, con milioni e milioni di fedeli, e una lunga tradizione sunnita e sciita, articolata in ulteriori ramificazioni interpretative, costantemente legata alla lettura del Corano.

Perché non vi è stato un unanime e monolitico anatema all’Isis e alla politicizzazione militare e criminale che viene perpetrata? I motivi, a ben vedere, sono prevalentemente tre: il primo riguarda il rapporto tra la verità religiosa creduta e praticata e la conoscenza teologica. I dibattiti medievali mostrano una cristianità tormentata dal dilemma del rapporto fede e ragione, e dal tentativo di risolverlo attraverso una crescita della coscienza personale di comprensione del messaggio creduto. Nell’Islam questo processo di maturazione si è inceppato e arrestato, mancando di una vera umanizzazione contenutistica ed etica delle grandi masse.

Una seconda ragione è storica: l’apostolato islamico si è tradotto già ai tempi di Norandino nella jihad, vale a dire in un’espansione e in una conquista del territorio, molto più che in una volontà di convincere, persuadere, migliorare e tollerare gli altri esseri umani. In terzo luogo vi è anche in Paesi arabi, che in nessun modo concorrono ad avallare il terrorismo, una sostanziale difficoltà a distinguere con nettezza la spiritualità della fede e l’operatività della politica. Tale mancanza di confine tra Cesare e Dio si traduce facilmente in una religione politica, talvolta in una politica religiosa, nel caso dell’Isis o in Al Qaida in una violenza teocratica fondamentalista e terrorista. In Occidente si deve fare tutto il possibile per garantire la sicurezza dei cittadini, si può fare tutto quello che è necessario per non confondere tutto l’Islam con un califfato violento e criminale, ma è quanto mai necessario che il mondo musulmano sia più visibile, forte e deciso nel prendere le distanze e combattere l’Isis al proprio interno. È una battaglia culturale che impegna tutti, ma soprattutto i fedeli dell’Islam. È un’esigenza che dovrebbe muovere la stragrande maggioranza del mondo musulmano a lottare per dare un volto umano, non politico e soprattutto non violento alla propria fede.

Il rischio sennò è che chi enuncia i valori di laicità e tolleranza lo faccia inutilmente per se stesso, e chi dovrebbe farlo utilmente invece non lo fa per niente.

×

Iscriviti alla newsletter