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Polli cinesi verso gli Usa, che succede al protezionismo di Donald Trump?

Venerdì 30 giugno il Segretario degli Stati Uniti per l’agricoltura Sonny Perdue e l’ambasciatore Usa in Cina Terry Branstad gusteranno insieme a Pechino alcune costolette di manzo del Nebraska. Sembrerebbe una notizia da niente, e invece quello spuntino segnerà l’inizio di una nuova fase nel commercio di beni alimentari fra gli Stati Uniti e la Cina. Il 19 giugno infatti è partito alla volta del dragone un carico di manzo statunitense, il primo dopo 13 lunghi anni di interruzione del commercio. Del trasporto si è incaricata la società a stelle e strisce Cofco Meat Holdings Ltd. “Questa è una notizia clamorosa per l’industria americana del manzo”, ha esultato Perdue in un comunicato lunedì, “avremo di nuovo accesso all’enorme mercato cinese, con una classe media forte e in crescita, che per molto, troppo tempo era stata allontanata dai nostri allevatori”. Secondo Perdue ad usufruire delle nuove misure sarà in particolare il Nebraska, “ma anche tutti gli stati del Midwest”.

La novità costituisce l’ennesimo passo dell’amministrazione Trump verso l’apertura al commercio, a discredito delle accuse di protezionismo forse un po’ troppo affrettate che i media internazionali e gli avversari politici gli avevano addossato. Ma, come ci si poteva aspettare, il passo non sarà unilaterale: i cinesi accetteranno sì di far entrare nel mercato le carni bovine targate Usa, ma in cambio otterranno l’apertura del mercato statunitense al loro pollame. Un dettaglio non da poco che rischia di infiammare le polemiche: sono note infatti le innumerevoli accuse delle organizzazioni internazionali che vigilano sulla qualità del cibo, per cui la carne cinese, e in particolare quella di pollo, non viene prodotta nel rispetto di criteri minimi di igiene e salute. Basta dare un’occhiata agli indici più famosi per scoprire quanto bassa sia la reputazione del settore alimentare cinese: ad oggi il Global Food Security Index posiziona la Cina al 42° posto al mondo per qualità, Oxfam addirittura al 57°.

Incalzato dalle giornaliste della CNBC, Perdue ha difeso il passo dell’amministrazione, precisando intanto che la carne di pollo importata sarà esclusivamente quella precotta, e garantendo che i controlli sulle importazioni nell’agroalimentare non subiranno una flessione: “La sicurezza del cibo resta al primo posto. La settimana scorsa abbiamo sospeso l’entrata di carne brasiliana negli Stati Uniti: secondo gli ispettori i prodotti non erano al livello dei nostri standard”. Non sarà facile però minimizzare l’accordo con la Cina riducendolo a una grigliata a Pechino e condendolo di frasi spot come quella pronunciata in tv da Perdue: “sono convinto che quando assaggeranno il nostro splendido manzo statunitense ne vorranno di più”.

La verità è che si tratta di un passo chiave verso l’apertura al commercio cinese, dove le importazioni di carne sono cresciute tra il 2012 e il 2016 da 275 milioni a ben 2.5 miliardi di dollari. E un passo indietro rispetto all’amministrazione Obama, che aveva posto regole assai più severe sull’importazione della carne cinese. Dal 9 gennaio del 2015 infatti, il servizio per la salute e l’ispezione del cibo del dipartimento di Stato per l’agricoltura aveva vietato l’export cinese dei prodotti di pollame prodotti secondo lo standard “Hong Kong” allegando tutta una serie di regolamenti con eccezioni per ogni singolo Stato. Da oggi i cittadini americani troveranno invece nei supermercati il pollame cinese e dovranno fare più attenzione alle etichette, anche se Perdue si dice sicuro dell’”impressionante lavoro” che la Food Security Agency ha sempre fatto, e soprattutto che “la Cina dal punto di vista economico non sarà un grande esportatore di pollo negli Stati Uniti”. In campagna elettorale il Tycoon aveva accusato la Cina di fare “concorrenza sleale distruggendo posti di lavoro americani”. Oggi l’arrivo dei polli cinesi sulle tavole americane non è altro che l’ennesima smentita del presunto, feroce protezionismo trumpiano.


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