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Biden e Trump alla prova dei dibattiti presidenziali. Novità e obiettivi

Entrambi puntano a degli obiettivi politici. Il presidente in carica spera che un’eventuale buona performance nei dibattiti possa aiutarlo innanzitutto a risalire nei sondaggi e rassicurare quel pezzo di Partito Democratico che non lo ritiene in grado di vincere a novembre. L’altro ha bisogno dei confronti sulla scia dello slogan reaganiano che ha di fatto scelto per la sua campagna elettorale: chiedere, cioè, agli americani se stanno meglio oggi o quattro anni fa

Per una volta sono andati (quasi) d’accordo. Joe Biden e Donald Trump hanno concordato di tenere due dibattiti presidenziali: il primo, organizzato dalla Cnn, sarà il 27 giugno, mentre il secondo, ospitato da Abc, si svolgerà il 10 settembre. Non solo. I due rivali hanno anche stabilito di sottrarre i confronti alla Commission on Presidential Debate: un organo che aveva finora organizzato tutti i dibattiti presidenziali dal lontano 1988.

Un’altra significativa novità risiede nel fatto che i due avversari hanno scelto di anticipare sensibilmente le date dei confronti, anche perché a giugno né Trump né Biden saranno ancora i candidati ufficiali dei loro partiti: nonostante entrambi abbiano già matematicamente blindato la nomination presidenziale dei rispettivi schieramenti, l’investitura formale arriverà solo con le Convention nazionali. Ebbene, va tenuto presente che quella repubblicana è prevista per luglio, mentre quella dem avrà luogo soltanto ad agosto.

Originariamente, la Commission on Presidential Debate aveva fissato tre date per i confronti: il 16 settembre, il primo ottobre e il 9 ottobre. Date che tuttavia, secondo i candidati, sarebbero risultate problematiche dal punto di vista della tempistica. Biden ha sostenuto che dei dibattiti così a ridosso delle elezioni non avrebbero tenuto conto del voto anticipato. Trump, dal canto suo, ha invocato un numero maggiore di confronti televisivi. Ma non è tutto. Secondo il presidente in carica, i dibattiti della Commission on Presidential Debate si fonderebbero su logiche ormai vetuste, mentre il candidato repubblicano ha più volte accusato quest’organo di essere prevenuto nei propri confronti. Non è tuttavia affatto scontato che i due rivali riusciranno ad accordarsi su tutto. Biden, che ha rifiutato la possibilità di un terzo dibattito su Nbc News caldeggiata invece dall’avversario, ha chiesto che i confronti si svolgano senza pubblico e che i microfoni di ciascun candidato vengano spenti quando non è il suo turno per parlare. Trump, dall’altra parte, ha chiesto che tutti partecipanti vengano sottoposti a un test antidroga prima dell’inizio del primo dibattito.

E veniamo quindi alla questione dei partecipanti. Saranno soltanto Biden e Trump? Entrambi i network che ospiteranno i dibattiti hanno decretato che, per essere ammessi, è necessario che i candidati siano in corsa in un numero di Stati sufficiente per raggiungere almeno 270 voti elettorali. Non solo. È anche richiesto che i contendenti registrino almeno il 15% dei consensi in quattro sondaggi nazionali. Con criteri così stringenti, l’unico “terzo incomodo” che potrebbe riuscire a partecipare è Robert Kennedy jr. Tuttavia, almeno per ora, sembra piuttosto improbabile che possa farcela.

È evidente che, con questa svolta nei dibattiti, sia Biden che Trump puntano a degli obiettivi politici. Il presidente in carica spera che un’eventuale buona performance possa aiutarlo innanzitutto a risalire nei sondaggi. Una recente rilevazione del New York Times dà attualmente Trump avanti in cinque Stati chiave su sei, mentre un sondaggio Harris ha evidenziato che il 58% degli americani è scontento di come Biden sta gestendo l’economia. In secondo luogo, l’inquilino della Casa Bianca vuole utilizzare i dibattiti per cercare di rassicurare quel pezzo di Partito Democratico che non lo ritiene in grado di vincere a novembre: a inizio maggio, l’ex senior advisor di Barack Obama, David Axelrod, è tornato a esprimere pubblicamente dubbi sulle chances di riconferma del presidente. Trump, dall’altra parte, ha bisogno dei confronti – che guarda caso chiedeva insistentemente da aprile – sulla scia dello slogan reaganiano che ha di fatto scelto per la sua campagna elettorale: chiedere, cioè, agli americani se stanno meglio oggi o quattro anni fa. La sfida, insomma, è appena all’inizio. E sarà interessante capire quale impatto avrà sulla campagna elettorale soprattutto il dibattito di giugno.

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