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Netanyahu al capolinea? L’analisi di D’Anna

Ultime chance per il primo ministro israeliano per restare al centro della battaglia contro tutti che divide il governo e nelle ultime ore lo ha perfino contrapposto all’Esercito. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Settimane o mesi, ma per Benjamin Netanyahu l’estate potrebbe segnare l’epilogo della sua controversa premiership.

Stretto tra la guerra all’ultimo sangue a Gaza contro i terroristi islamici di Hamas, le crescenti tensioni al confine libanese con gli Hezbollah filo iraniani e gli incandescenti contrasti interni alla coalizione di governo, mentre nel Paese deflagrano le proteste popolari e si moltiplicano le accuse acuire la guerra per mantenersi al potere, il premier israeliano sembra essere giunto al capolinea.

Di fronti aperti Netanyahu ne ha parecchi, a cominciare dall’ultimo e più delicato scontro con i militari. Nonostante l’ostinazione offensiva del capo del governo, il portavoce delle forze armate israeliane, generale Daniel Hagari, ha pubblicamente definito “irraggiungibile” l’obiettivo di sradicare il movimento islamista palestinese Hamas. Perché si tratta di un’idea. Chi pensa che possa essere fatta sparire si sbaglia. E’ come gettare sabbia negli occhi della gente, chiunque lo prometta sta ingannando il pubblico” da affermato Hagari.

Una clamorosa sconfessione della dottrina Netanyahu, ribadita più e più volte dal Premier per giustificare il mancato accordo finora con il gruppo fondamentalista palestinese che salvi gli ultimi 50 ostaggi sopravvissuti, secondo quanto pubblicato dal Wall Street Journal ancora in mano ad Hamas.

Rapporti tesissimi anche con l’estrema destra guidata dai ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir. Quest’ultimo, il leader di Otzma Yehudit è stato accusato dal Likud, il partito di Bibi, di aver divulgato segreti di Stato dopo che é circolata la notizia secondo la quale Netanyahu si sarebbe offerto di condividere delicati briefing sulla sicurezza in cambio del sostegno al controverso progetto di legge sulla nomina dei rabbini municipali.

Ben-Gvir da tempo chiede maggiore potere decisionale sullo sforzo bellico e le pressioni sono aumentate dopo l’uscita di Benny Gantz dal governo di unità, tanto da costringere il premier a smantellare il gabinetto di guerra.

Una normativa, richiesta dallo Shas, il partito degli ebrei ultra ortodossi, che all’ultimo minuto il premier ha ritirato facendo arrabbiare i partiti ultraortodossi.

Ad alimentare lo scontro tra ultraortoossi e Likud ha contribuito non poco anche il ministro dell’Economia Nir Barkat annunciando che non sosterrà un altro controverso disegno di legge che riguarda l’esenzione dalla leva obbligatoria dei giovani israeliani che aderiscono alle dottrine più conservatrici dell’ebraismo.
Non va meglio con il tradizionale alleato sull’altra sponda dell’Atlantico: la Casa Bianca ha confermato che il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, incontrerà il suo omologo israeliano Tzachi Hanegbi e il ministro degli Affari strategici Ron Dermer, nell’ultimo tentativo di appianare le ultime accese divergenze.

A Washington non è piaciuto affatto il videomessaggio col quale il premier ha apertamente accusato con toni molto duri l’amministrazione Biden di bloccare le spedizioni di armi.

Gli Usa hanno risposto annullando un incontro di alto livello sull’Iran, mentre la delegazione israeliana era già in volo per Washington. La tensione creatasi fra le due amministrazioni lascia prevedere che Jake Sullivan non tratterà, ma si limiterà a porre le condizioni della Casa Bianca. Prendere o lasciare.
E senza l’appoggio, anche critico stentato degli Stati Uniti, per Netanyahu lasciare significa uscire di scena, con Gantz già pronto a contendergli la Premiership nelle ennesime, ma inevitabili, elezioni anticipate. “Non lasceremo Gaza finché non ritorneranno tutti gli ostaggi e non andremo via finché non avremo eliminato le capacità militari e governative di Hamas”, ribatte Bibi, che sta tentando di tutto per rilanciarsi e restare a galla.

E ignorando le critiche mossegli ha incontrato le famiglie degli ostaggi ancora in mano dei terroristi. “Non abbiamo alcuna possibilità di arrenderci, non abbiamo alcuna possibilità di rinunciare alla vittoria. Questa – ha spiegato – è la mia posizione. Chi si oppone, si opponga apertamente”. “Ci impegniamo – ha concluso – a riportare indietro tutti i 120 rapiti, sia i vivi sii i morti, anche se a tappe non rinunceremo a nessuno”.
Secondo le analisi degli esperti di strategie militari, il tempo di Netanyahu è scaduto. Da vendicatore é passato a capro espiatorio che con notevoli eccessi ha portato a termine, o quasi, il “ lavoro sporco” di mettere sottosopra Gaza e distruggere quanti più tunnel di Hamas.

Ma i terroristi islamici si sono difesi sulla pelle della popolazione, usata come scudi umani e mandata letteralmente al macello, come si è lasciato sfuggire uno dei capi dei fondamentalisti.

Dopo Netanyahu non il diluvio, ma forse la pace. Più o meno effimera fragile e a tempo, ma comunque una pace che almeno, per quanto riguarda il Medio Oriente, lascerà rifiatare il mondo.

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