Nel prossimo futuro, caratterizzato dalla presenza in orbita delle stazioni spaziali commerciali, l’Italia potrà essere protagonista con un ruolo sempre più importante nella New space economy, passando da una logica di fornitori di tecnologia a una di partner operativi. Le riflessioni dell’astronauta Walter Villadei in occasione del riconoscimento del dottorato di ricerca honoris causa in Ingegneria industriale dell’Università Tor Vergata
L’Italia può diventare protagonista della New space economy, passando da fornitore di tecnologia a partner operativo. A dirlo è il colonnello e astronauta dell’Aeronautica militare Walter Villadei, a margine del riconoscimento del dottorato di ricerca honoris causa in Ingegneria industriale dell’università Tor Vergata. Un’occasione che ha permesso anche di fare il punto sull’importanza della collaborazione tra mondo accademico, difesa e industria, come sottolineato dalla professoressa Loredana Santo, direttrice del dipartimento di Ingegneria industriale.
Colonnello Villadei, la collaborazione tra pubblico e privato è diventata un pilastro strategico per lo sviluppo delle attività spaziali. Qual è, secondo lei, il valore aggiunto che questa sinergia offre, soprattutto considerando l’integrazione tra Forze armate, istituzioni di ricerca e università?
Il dialogo tra il mondo operativo, tipico della Difesa, con quello accademico-universitario e quello industriale rappresenta un indispensabile ecosistema di interazione a vantaggio della crescita, della competitività in una economia della conoscenza dove innovazione e scienza costituiscono un binomio essenziale. Questo tipo di dialogo, che fino ad oggi è stato a prevalente investimento pubblico, si sta ampliando grazie alla consapevolezza, anche del mondo produttivo, dell’importanza della ricerca come abilitante fondamentale. Si tratta di un aspetto rilevante, che abbiamo voluto stimolare anche con la missione Axiom-3, mettendo attorno allo stesso tavolo tutti questi soggetti, pubblici e privati, industriali e scientifici, e individuando tematiche che trasversali da sviluppare in team per far diventare la missione un “moltiplicatore” di know-how e un’occasione di sinergia.
La futura stazione spaziale commerciale promette di aprire nuove opportunità per la ricerca e lo sviluppo tecnologico in orbita. Quali benefici specifici vede per la comunità scientifica da questo tipo di infrastruttura?
Stiamo osservando una trasformazione epocale di questo settore. La strategia che gli Stati Uniti hanno impostato già nel 2009 ha portato progressivamente all’emergere di realtà private che dispongono di capacità operative e tecnologiche end-to-end. L’aspetto più evidente è quello dall’accesso allo spazio, con innovativi sistemi di trasporto spaziale, da Virgin Galactic a Starship, e quello delle comunicazioni satellitari, come nel caso del sistema Starlink. Nel prossimo futuro vedremo l’affermarsi delle stazioni spaziali commerciali. L’Italia può essere protagonista facendo leva sulle competenze industriali in parte disponibili e costruendone di ulteriori. Dal punto di vista strategico, assicurare alla comunità nazionale un accesso continuativo, flessibile e sostenibile alla microgravità, intesa come risorsa abilitante per la ricerca scientifica e tecnologica, è un obiettivo di primaria importanza. Ciò consentirà di proseguire ed estendere l’economia della conoscenza anche in orbita e acquisire, come Paese, un ruolo sempre più importante nella New space economy. In questo senso, l’Italia ha un’opportunità straordinaria grazie alla visione e agli accordi che il governo ha già messo in campo negli anni, ovvero muovere da una logica di fornitori di tecnologia a una di partner operativi con chi sta già costruendo le prime stazioni spaziali commerciali. Tutto ciò richiede visione strategica, risorse economiche, competenze tecnologiche e scientifiche, cultura operativa. Insomma in breve, il sistema-Paese.
Il ruolo dell’astronauta si sta evolvendo rapidamente e sembra richiedere sempre di più competenze multidisciplinari e una flessibilità operativa in scenari complessi. In che modo, secondo la sua esperienza, questo profilo multitasking sta ridefinendo la figura dell’esploratore spaziale?
Indubbiamente, come il mio stesso percorso di astronauta italiano formato all’interno di una strategia nazionale dimostra, questa figura sta evolvendo oltre i tradizionali percorsi del passato. Da esploratori di un dominio nuovo quale lo spazio, a professionisti dedicati al training per missioni spaziali, nei prossimi anni l’astronauta sarà una figura più poliedrica e polivalente. Non solo in grado di svolgere e guidare missioni spaziali, ma anche di concorrere ab initio alla definizione delle missioni stesse, in ragione di una comunità di utenti sempre più eterogenea; supportare l’industria nello sviluppo dei programmi e il mondo scientifico nelle traiettorie di ricerca; coadiuvare le istituzioni nelle valutazioni degli obiettivi strategici (realmente conseguibili). È un cambio di approccio che osserviamo anche in Aeronautica, dove la figura stessa del pilota, grazie all’evoluzione della tecnologia, è sempre meno concentrata sulla tecnica di volo e sempre più sulla gestione della complessità delle operazioni. Il tutto, nel caso degli astronauti, mantenendo e anzi valorizzando ulteriormente quel ruolo di ambasciatori di una cultura universale fatta di passione per la scienza e la ricerca, consapevolezza dell’importanza della collaborazione, aspirazione ad andare oltre i limiti per promuovere l’esplorazione di nuovi confini, curiosità verso l’ignoto.
Le è stata conferita dall’Università Tor Vergata un dottorato di ricerca honoris causa in Ingegneria industriale, un riconoscimento che celebra la sua carriera e il suo contributo al settore spaziale e che certifica quanto lo spazio si stia evolvendo sempre di più come vero e proprio settore economico, industriale appunto. Che significato ha per lei questo titolo?
Un grandissimo onore che certamente riconosce l’impegno di questi anni nel promuovere un sempre maggiore attivo coinvolgimento del mondo della ricerca nei progetti spaziali, anche andando a stimolare un approccio multidisciplinare, oltre le tradizionali competenze spaziali. Ma soprattutto è il riconoscimento di una vocazione che l’Aeronautica militare ha sempre avuto dai tempi di Luigi Broglio. Quella vocazione al servizio del Paese, quella consapevolezza dell’importanza della ricerca quale premessa al miglioramento di ciò che sappiamo fare “oggi” per farlo ancora meglio “domani” e del lavoro di squadra, quale ingrediente essenziale per il conseguimento degli obiettivi più complessi.
Professoressa Santo, qual è il significato simbolico e accademico del conferimento del dottorato al Colonnello Villadei?
Il titolo di dottore di ricerca honoris causa può essere conferito a personalità con alti meriti scientifici, umanitari o sociali, che si sono distinti nel proprio ambito a livello nazionale e internazionale e che promuovono un esempio virtuoso e costruttivo per le future generazioni. Il colonnello Villadei è un astronauta con un brillante curriculum che ha promosso la cultura spaziale in diversi ambiti disciplinari dell’ateneo di Roma Tor Vergata. Dal 2009 ha collaborato nell’ambito del dottorato in Ingegneria industriale, su tematiche di ricerca del gruppo di Tecnologie e sistemi di lavorazione del dipartimento e ciò ha permesso la realizzazione di due esperimenti spaziali a bordo del primo volo suborbitale di ricerca, operato da Virgin Galactic nel 2023. Il colonnello Villadei ha inoltre interagito proficuamente con il mondo industriale e, grazie alle sue brillanti capacità comunicative, ha condiviso con un pubblico molto vasto le sue attività svolte nella missione Axiom-3.
In che modo questo riconoscimento riflette l’importanza della collaborazione tra mondo accademico e settore spaziale?
Il riconoscimento a Villadei riflette l’importanza della collaborazione tra mondo accademico e settore spaziale, in quanto la possibilità di raggiungere risultati così ambiziosi in ambiente spaziale è strettamente legata a un lavoro di squadra, con competenze diverse e multidisciplinari. L’università riconosce nel colonnello non soltanto i meriti acquisiti nello sviluppo della conoscenza e nel raggiungimento di oggettivi risultati tecnologici e di esplorazione della vita umana nello spazio, ma anche la determinazione dei veri ricercatori, la passione per quello che si sta studiando e il desiderio di condividere la propria conoscenza e le proprie scoperte, per il bene dell’intera comunità. L’auspicio è che questo riconoscimento non sia un punto di arrivo ma un ulteriore stimolo verso nuove sfide e nuovi successi nella ricerca spaziale, un legame di appartenenza ad una comunità scientifica che si riconosce negli stessi principi e che si ispira al suo esempio di eccellenza.
Nel contesto delle sfide tecnologiche emergenti, l’università svolge un ruolo cruciale nello sviluppo di competenze e ricerca. Quali strategie e iniziative ritiene siano fondamentali per consolidare il legame tra il mondo accademico e il settore della difesa e quello dell’industria, in modo da stimolare l’innovazione e affrontare le sfide dei nuovi domini operativi?
Il triplice legame tra mondo accademico, difesa e industria è certamente un legame chiave per l’innovazione e lo sviluppo tecnologico nei nuovi domini operativi, pur nelle diverse prerogative dei diversi attori. Il mondo accademico può formare coloro che saranno impiegati in questi nuovi settori solo conoscendone le abilità e competenze richieste. Nell’ambito della ricerca d’avanguardia può propone idee e soluzioni innovative solo conoscendo i nuovi scenari operativi. L’idea di ricerche strategiche duali, ad esempio, passa attraverso il confronto tra il mondo accademico e quello della difesa, per poi concretizzarsi in tecnologie e sistemi pronte all’uso grazie al settore industriale. Pertanto, la strategia deve essere una interazione continua tra università, difesa ed industria e lo sviluppo di progetti congiunti e ove possibile la realizzazione di partenariati finalizzati allo sviluppo e l’innovazione. Le sfide spaziali sono un ottimo esempio dove questa interazione può raggiungere il massimo impatto, portando l’accademia a un livello di conoscenze superiore che si materializza nel paese nelle capacità realizzative delle industrie e in quelle operative nella difesa. Tenendo alta l’asticella, sarà l’intero paese a beneficiarne, con maggiore conoscenza, migliori tecnologie e maggiore sicurezza. La massima attenzione deve essere data per non perdere il piccolo vantaggio competitivo acquisito da esperienze come quelle delle missioni Virtute I e Axiom.3. Questo conferimento honoris causa vuole essere un segnale in questa direzione, a non attardarsi sui meriti ma ad affrettarsi a proseguire, verso la nuova sfida, prima degli altri.