Skip to main content

La Cina e le Spratly, Pechino ha voglia di menare le mani. L’analisi di Arditti

Da mesi, anzi forse da anni, la marina militare cinese è diventata molto aggressiva e si sforza di dimostrarlo quasi ogni giorno, vicino alle proprie coste ma anche assai lontano. In acqua da pochi mesi (e proprio da quelle parti) c’è anche una nuova e modernissima portaerei. Uomo avvisato, mezzo salvato

Se buon senso e la legge dicono il contrario ma tu insisti nel volere avere ragione e metti in atto gesti concreti (e ostili) per imporre la tua verità con la forza io, dall’altra parte, cos’altro posso fare che considerarti un nemico? Ecco, così stanno le cose a migliaia di chilometri dall’Italia, dove lunedì è accaduto in mezzo all’oceano qualcosa di nuovo e di assai rilevante, anche se in Europa fatica a trovare l’attenzione che merita.

Andiamo per ordine, così ci capiamo. Quindi iniziamo dai luoghi e dai fatti.

Siamo a poca distanza da uno dei tanti atolli delle isole Spratly, piccolissime e quasi disabitate, abbastanza vicine alle coste filippine, meno a quelle vietnamite, molto meno a quelle cinesi. È una zona di mare a intensa circolazione commerciale ma, soprattutto, ricca di giacimenti di petrolio.

Lunedì accade questo: un paio di grossi gommoni filippini vengono accerchiati da imbarcazioni varie della Guardia Costiera cinese, che ne minaccia gli equipaggi con spranghe e coltelli, accusandoli di trovarsi in un posto dove non dovrebbero stare. La tensione tra le diverse barche è ben visibile in un paio di filmati disponibili in rete e si conclude con qualche ferito tra il personale filippino, ma senza morti e senza uso di armi da fuoco. Per comprendere bene però le ragioni dell’incidente dobbiamo mettere in fila almeno tre elementi, senza i quali la vicenda appare inspiegabile.

Primo: la zona è contesa da decenni con la Cina che rivendica tutte quelle isole e gli atolli collegati incontrando la ferma opposizione di Filippine, Vietnam e delle altre nazioni della zona.

Secondo: una sentenza del tribunale internazionale dell’Aja stabilisce nel 2016 che le pretese cinesi non hanno alcun fondamento di carattere storico o giuridico.

Terzo: nell’area (la cui rilevanza in chiave petrolifera abbiamo già chiarito) si gioca anche una partita decisiva per il controllo militare del Mar cinese meridionale, teatro essenziale anche per Taiwan.

Inoltre occorre considerare che l’esercito filippino ha un avamposto militare in una nave da guerra arenata sul Second Thomas Shoal (esattamente lì stavano andando le imbarcazioni per portare a bordo forniture varie), così come Pechino ha postazioni militari su alcune scogliere e barriere coralline.

Infine dobbiamo tenere presente che dal 15 giugno di quest’anno la Cina autorizza la sua guardia costiera a trattenere con la forza gli stranieri “sospettati di aver violato le acque territoriali cinesi”.

Adesso si tratta di mettere insieme tutti i pezzi, per giungere ad una semplice conclusione, percorso in cui ci aiuta il Capo delle Forze Armate filippine (che certamente è di parte): “Abbordare una nave del governo filippino brandendo lame e coltelli costituisce pirateria e Pechino dovrebbe pagare i danni“.

La conclusione è questa: da mesi, anzi forse da anni, la marina militare cinese è diventata molto aggressiva e si sforza di dimostrarlo quasi ogni giorno, vicino alle proprie coste ma anche assai lontano.

In acqua da pochi mesi (e proprio da quelle parti) c’è anche una nuova e modernissima portaerei. Uomo avvisato, mezzo salvato.

×

Iscriviti alla newsletter