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Cosa Andrea Mazzillo non ha capito delle regole a 5 stelle di Grillo e Casaleggio a Roma

mazzillo

Comprendiamo i “turbamenti” del giovane Andrea Mazzillo, assessore al bilancio del Comune di Roma, in procinto, secondo il Fatto quotidiano, di essere cacciato. Dopo aver perso due deleghe collaterali: quelle al patrimonio e all’edilizia abitativa. Poca cosa, per la verità, se si dà un’occhiata al lungo elenco di compiti, pubblicato sul sito di Roma Capitale. Per adempiere ai quali ci sarebbe voluto qualcosa di più di “un fisico bestiale”.

Ridimensionare quel fardello sarebbe stata opera meritoria per dare alla Capitale la sensazione che la giunta capitolina, archiviate le banalità dell’“uno vale uno”, della democrazia diretta e via dicendo, iniziava a fare sul serio. Vale a dire a dare, dopo 14 mesi di totale apnea amministrativa, quelle risposte minime indispensabili: non tanto per risolvere problemi da troppo tempo incancreniti, ma almeno per delineare una possibile realistica strategia per iniziare a darvi sotto.

Ed invece i motivi del contendere sono stati altri. La semplice critica dell’assessore nei confronti degli “alieni” paracadutati dal Nord, su input della premiata ditta Grillo – Casaleggio. Almeno avessero conosciuto la città: questa la dichiarazione incriminata rimbalzata sulla stampa. E subito considerato un reato di lesa maestà contro i numi tutelati del Movimento. La cui risposta, ovviamente, non si è fatta attendere. Costringendo la stessa Raggi a decretarne la progressiva espulsione: prima la sottrazione delle deleghe, quindi il definitivo siluramento (a quanto sembra) dell’ingrato.

Nella sua ultima intervista ad Avvenire, Andrea Mazzillo, purtroppo, dimostra di non aver ben capito le regole del gioco in cui si è cacciato. Il vero depositario del potere grillino, a Roma, non è stata mai Virginia Raggi. La sindaca è stata ed è solo una “dipendente” della Casaleggio Associati. Ingaggiata con un regolare contratto, che la sottopone al controllo preventivo e successivo della casa madre. Con tanto di penale in caso d’inadempienza. Il famoso “codice di comportamento”. Ne deriva che le scelte effettive non appartengono alla prima cittadina romana, ma al suo datore di lavoro.

Può sembrare una forzatura polemica, ma si guarda ai fatti intervenuti, la spiegazione appare robusta. Chi era Virginia Raggi, prima della sua elezione? Una perfetta sconosciuta. Era stata – è vero – una consigliera del Comune, ma di quell’attività non si ricordano atti significativi. La stessa vaghezza del suo programma elettorale dimostrava come la sua conoscenza dei problemi della città fosse del tutto evanescente. Cosa che contribuisce a spiegare l’immobilismo di questo lunga fase dell’Amministrazione comunale. E gli errori compiuti nella scelta degli uomini chiave posti nei settori strategici del Comune.

I Romani, quindi, non hanno votato per Virginia Raggi, ma per il Movimento 5 stelle, stanchi dei disastri compiuti dalle Giunte precedenti. Al suo posto poteva essere qualsiasi altro militante; i risultati non sarebbero cambiati. Sennonché quest’evidente anomalia ribalta su Grillo stesso la responsabilità dei disastri compiuti. La critica più immediata è quella di non aver saputo scegliere non solo il capo dell’amministrazione cittadina, ma tutti quegli esperti che si sono dati il cambio nel grande girotondo delle responsabilità di settore: sia che si trattasse degli assessori o dei dirigenti delle varie società partecipate. Ed è questa oggi la principale preoccupazione di Grillo e Casaleggio.

Quando il primo dice che “su Roma ci giochiamo la vita” non ricorre ad un’affermazione retorica. Ma lancia un grido d’allarme realistico. Nello specchio deformante della vita amministrativa della Capitale si riflettono tutti i limiti del Movimento. A dimostrazione che la protesta sarà anche il sale della politica, ma da sola non basta per consolidare i risultati che possono derivare da una congiuntura particolarmente favorevole. La democrazia rappresentativa sarà pure un reperto archeologico, come dice Casaleggio, ma una funzione importante non gli può essere negata. Quella di cacciare i governanti che sbagliano, come insegnava Karl Popper, quando lo stesso Casaleggio non era ancora nato.



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