Skip to main content

Tutti i veri motivi delle tensioni tra Arabia Saudita e Iran

Le tensioni tra Riad e Teheran non sono solo religiose. Tra le due potenze il clima si è ulteriormente arroventato sabato scorso, quando l’Arabia Saudita ha espulso i diplomatici iraniani dal Paese dopo i disordini e le accuse legate all’esecuzione del chierico sciita Nimr al-Nimr da parte del Regno wahabita. Ma questo è solo l’ultimo capitolo di uno scontro secolare che coinvolge anche aspetti geopolitici, economici, energetici e di alleanze.

IL CONFLITTO RELIGIOSO

La separazione più netta e più evidente è quella religiosa, che affonda le sue radici secoli addietro, ma che è peggiorata nell’ultimo decennio. La rottura delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, ha evidenziato il professor Benedetto Ippolito, “apre uno scenario nuovo, anche se per nulla inatteso. Il mondo islamico fin dalle sue origini è stato caratterizzato da questa frattura religiosa interna. E la contrapposizione tra sciiti e sunniti rappresenta esattamente la quintessenza storica della dualità che segna in linea generale la relativa distinzione tra interessi nazionali, regionali e geopolitici in tutto il Medioriente”.
In questo clima l’atteggiamento di Riad, ha commentato a questa testata la firma del Foglio e di Libero Carlo Panella “non è frutto del caso”. L’Iran, ha detto, “vorrebbe esportare la rivoluzione sciita in tutto il Medio Oriente. E lo sta facendo da tempo. Semmai il paradosso è che dopo aver seminato instabilità a suon di guerre per procura, ora non le resta che protestare verbalmente. Ora le rimane solo la possibilità di scatenare una guerra diretta con l’Arabia Saudita. Ma sa bene che le costerebbe cara, perché il fronte sunnita si unirebbe contro di lei, che è isolata”. Su questo caos pesa per il giornalista la miopia di Usa ed Europa. “Le diplomazie occidentali – ha sottolineato – non comprendono il punto centrale della questione. L’Isis non è la causa, ma una conseguenza di ciò che accade oggi in Medio Oriente. La crisi a cui assistiamo è frutto di un conflitto religioso e geopolitico tra sciiti e sunniti, che ha radici antichissime. Quando in Europa e negli Stati Uniti si assisteva a rivoluzioni democratiche, l’Islam andava in senso opposto, con la rivoluzione wahabita, che esaltava un’interpretazione reazionaria e conservatrice della fede musulmana. Il cammino storico dell’Islam va in senso opposto a quello auspicato dall’Occidente. L’Isis è una superfetazione di questo percorso, non un elemento spuntato da chissà dove. È un dato di fatto da cui non si può prescindere, ma che viene ignorato dalle nostre cancellerie”.

IL NODO ISIS

In questo scenario non va sottovalutato il rafforzamento della ideologia religiosa propagandata dallo Stato islamico, che per lo storico e sociologo Gilles Kepel, intervistato dal Corriere della Sera, “trae beneficio dalle tensioni tra Arabia Saudita e Iran”. L’atteggiamento saudita, infatti, spiega lo studioso, è anche una reazione del Regno a una profonda crisi interna non solo dinastica ma anche religiosa. “Per Riad – argomenta – la questione si fa più grave perché la crescita del radicalismo sunnita sta destabilizzando il Paese. Lo dimostra l’ultima ondata di esecuzioni: 43 su 47 condannati sono jihadisti sunniti. La monarchia ha incluso tra i pochi sciiti lo sceicco Nimr al Nimr come precauzione contro le critiche dei conservatori interni”. In tutto ciò, aggiunge, “la chiusura dell’ambasciata a Teheran renderà più complicata la battaglia al Califfato. Riad rischia di essere penalizzata da un effetto boomerang. I sauditi sono minacciati dal radicalismo sunnita sul loro territorio, un pericolo molto più grave per la stabilità della casa regnante che non la presenza di una minoranza sciita marginalizzata”. Quindi, in questo caso, la lotta con l’Iran, seppur vera e forte, rischia di essere un pretesto.

LE MIRE GEOPOLITICHE

La questione religiosa, intrecciata alla crescita del radicalismo, fa il paio con le mire geopolitiche di entrambe le potenze, che contano su propri schieramenti. Una delle ragioni della “provocazione” saudita, ha spiegato su queste colonne il generale Carlo Jean, è infatti “l’interesse di Riad di provocare l’aggressività sciita per consolidare la Coalizione Anti-terrorismo, costituita, su iniziativa saudita, da 34 Stati sunniti, a cui potrebbe aderirne un’altra decina, tra cui l’Indonesia e l’Afghanistan”. Ne è escluso l’Iran. Con essa “Riad intende costituire un blocco sunnita, che si opporrebbe alla prevedibile futura tendenza di Teheran di estendere ancora la propria influenza nell’Islam” e in molti teatri: Yemen, Libano, Siria, Iraq e altri. I sauditi, commenta, “temono inoltre l’aumento della potenza iraniana per l’appoggio della Russia all’Iran, per l’attenuazione delle sanzioni – che permetterà a Teheran di accedere a 100 miliardi di dollari oggi bloccati in Occidente – e per i migliori rapporti tra Teheran e Washington, che ha voluto che l’Iran partecipasse a pieno titolo ai negoziati sulla Siria. Nonostante il colossale acquisto di armamenti, l’Arabia Saudita è consapevole di non poter fronteggiare militarmente l’Iran. Esso ha una popolazione più preparata tecnologicamente, un’economia e superiore di tre volte a quella saudita, un’economia diversificata, meno dipendente dal petrolio”.

LA QUESTIONE ENERGETICA

La contesa tra sunniti e sciiti è estesa però anche al settore petrolifero, anche se con effetti non sconvolgenti per il mercato. In questo clima, infatti, ha scritto su Formiche.net l’editorialista Guido Salerno Aletta, “la politica petrolifera dell’Arabia Saudita sembra dettata dall’intenzione di ripristinare alla radice la sostenibilità dei fondamentali e dell’equilibrio del mercato, piuttosto che di indebolire i propri “avversari” politici. Se i sauditi agissero spinti da criteri puramente politici non farebbero i loro interessi, in quanto anch’essi stanno pagando un prezzo salato nell’attuale fase di mercato”, caratterizzata da prezzi bassi del petrolio. “Lo scenario petrolifero di oggi ha impatti importanti su quello geopolitico a livello globale, non solo in Medio Oriente. Tuttavia è improbabile che eventi, come la lotta per la supremazia politica in Medio Oriente tra Iran e Arabia Saudita, possano essere determinanti per gli sviluppi recenti nel mercato del petrolio”, ha aggiunto Salerno Aletta.
Sullo sfondo, ha rimarcato l’editorialista, è comunque “sempre presente la minaccia di una guerra petrolifera tra produttori sunniti (GCC) e sciiti (Iran-Iraq). Gli ultimi hanno piani molto ambiziosi di incremento della produzione nonostante lo scenario negativo del mercato, e nei prossimi due anni potrebbero riuscire a realizzarli. In particolare l’Iran, grazie alla caduta dell’embargo e al ritorno delle major occidentali nel paese. I paesi del Golfo tuttavia non sembrano mostrare disponibilità a lasciare spazio ai rivali. Per ora entrambi i fronti continuano a incrementare i volumi di produzione anche se in modo molto contenuto e graduale, in coerenza con la strategia di difesa delle quote di mercato, e in attesa dell’evoluzione del mercato nel suo complesso”.

IL RAPPORTO CON GLI USA

Il peso più rilevante, anche in questa crisi, lo può esercitare però la superpotenza americana. “Con l’uccisione dell’imam al-Nimr”, ha sottolineato in un’intervista all’Unità il direttore della rivista italiana di geopolitica Limes, Lucio Caracciolo, “l’Arabia Saudita ha voluto segnalare agli americani la sua irriducibile avversione alla reintegrazione dell’Iran sulla scena internazionale, sia geopolitica” sia “energetica”. Washington, rimarca l’esperto, sembra però “oscillare fra la voglia di disincagliarsi dalle secche dove erano finiti con Bush jr., e la necessità di marcare comunque la presenza della principale potenza mondiale in un teatro di grave crisi”. Al successore di Barack Obama dopo le elezioni presidenziali del 2016, crede Caracciolo, “spetterà l’onere di sciogliere la contraddizione, a meno che l’urgenza dei fatti non costringa l’attuale inquilino della Casa Bianca” ad affrettarsi nel prendere iniziativa.

GLI APPROFONDIMENTI DI FORMICHE.NET:

Perché Obama sbaglia sull’Iran. Conversazione di Formiche.net con lo scrittore e giornalista Carlo Panella. Di Michele Pierri
Perché l’Arabia Saudita ha provocato l’Iran. Di Carlo Jean
Tutte le contese petrolifere tra Arabia Saudita e Iran. Di Emanuele Rossi
Islam, ecco come cresce la guerra tra sunniti e sciiti. Di Emanuele Rossi
Isis fa la guerra all’Occidente e a una parte dell’Islam. Parla Fabrizio Cicchitto
Iran, ecco tensioni e sfide per il 2016. Conversazione con Ali Vaez, iranologo del think tank International Crisis Group. Di Davide Vannucci
Così la guerra sciiti e sunniti ha portato Isis in Yemen. Di Emanuele Rossi
Perché sono (quasi) tutti pazzi dell’Iran. Di Michele Pierri
Tutti contro tutti in Siria. Di Luigi Chiarello
La guerra del petrolio fra sciiti e sunniti. Di Giampaolo Maltese
Per gli Usa le milizie sciite sono un problema in Iraq e Siria. Il post di Emanuele Rossi
Le guerre energetiche tra Iran-Russia e Usa-Arabia. L’analisi di Guido Salerno Aletta
Chi (e perché) alimenta la guerra del petrolio. Il prof. Sapelli parla con Michele Pierri
Arabia Saudita o Iran? Perché l’Occidente è a un bivio. L’articolo di Michele Pierri
Perché l’Arabia Saudita punta a una Nato islamica? L’articolo di Emanuele Rossi
Isis, ecco cosa cela la lotta fra sciiti e sunniti. L’analisi di Carlo Jean
Ecco il conflitto tra sciiti e sunniti che alimenta l’Isis. L’articolo di Manuela Conte
Vi spiego perché sunniti e sciiti si combattono in Irak. Parla Di Nolfo intervistato da Michele Pierri
Chi è Mohammed bin Salman, il potentissimo giovane dell’Arabia saudita. Il ritratto di Rossana Miranda
Che cosa succede in Arabia Saudita? L’articolo di Rossana Miranda
Vi racconto le due anime dell’Iran. Conversazione di Michele Pierri con Tatiana Boutourline
Così Washington si barcamena dopo l’accordo con l’Iran. L’articolo di Michele Pierri.
Tutte le provocazioni iraniane che preoccupano l’Occidente. L’articolo di Emanuele Rossi

×

Iscriviti alla newsletter