“Tregua armata è la definizione più giusta, mentre non parlerei di pareggio: la partita è tutt’altro che finita e sono certa che riserverà ancora molti colpi di scena“. Annalisa Cuzzocrea è la giornalista di Repubblica che segue l’universo a cinquestelle di Beppe Grillo, Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Virginia Raggi. Un mondo che negli ultimi otto giorni – dal dimissioni day capitolino del primo settembre scorso – ha mostrato evidenti segnali di difficoltà tra errori, omissioni, polemiche e scontri. E le tensioni – dice in questa conversazione con Formiche.net la cronista del quotidiano diretto da Mario Calabresi – “non sono affatto sopite: aspettiamoci altre sorprese“.
Come valuti l’azzeramento del mini-direttorio romano? Può considerarsi un punto a favore di Virginia Raggi?
Il suo scioglimento è dovuto a due ragioni in particolare. Innanzitutto perché non ha funzionato: non è riuscito in alcun modo ad arginare quel cerchio magico – formato da Raffaele Marra, Salvatore Romeo e Daniele Frongia – che sta intorno alla sindaca e che non piace a Beppe Grillo. D’altro canto, la sua principale esponente – la senatrice Paola Taverna – è stata accusata di aver inviato ai giornali le prove che Di Maio fosse a conoscenza dell’indagine a carico di Paola Muraro. Taverna ha smentito categoricamente – e io non penso sia stata lei a diffondere le notizie contro il vicepresidente della Camera – ma la pressione è stata così forte da farle decidere di lasciare insieme agli altri due membri del mini-direttorio Fabio Massimo Castaldo e Gianluca Perilli.
Cos’è successo, invece, con Raffaele De Dominicis che la prima cittadina aveva voluto come assessore al Bilancio per il dopo Minenna?
Raggi è stata letteralmente costretta a mandarlo via anche perché ha saputo che forse esiste un’indagine nei suoi confronti. Al di là di tutto, comunque, quello di De Dominicis era un nome inviso sia al direttorio nazionale che ai parlamentari cinquestelle: nessuno aveva digerito l’intervista con cui l’ex procuratore regionale della Corte dei Conti diceva di aver accettato l’incarico in Campidoglio su proposta dello studio Sammarco.
Per il futuro bisogna attendersi altre scosse?
Che la situazione sia in divenire è confermato dal mancato incontro tra Grillo e Virginia Raggi. Il fondatore del M5S non ha voluto chiarirsi di persona con il sindaco di Roma né ieri né mercoledì. Il sostegno nei suo confronti – urlato due giorni fa dalla piazza di Nettuno – non mi pare pieno e incondizionato.
Stanno cercando di separare i destini del MoVimento da quelli del Campidoglio?
Di sicuro c’è stata una prima significativa presa di distanza: ora bisognerà vedere come si comporterà Raggi. Non avrà più controllori interni, nessuno le dirà più cosa fare, ma i rischi cui è esposta aumenteranno inevitabilmente.
Quali rischi?
Se le sue decisioni continuassero a non essere in linea con il sentire del MoVimento, Grillo potrebbe decidere di ritirarle il simbolo. Sarebbe una mossa durissima che al momento non c’è alcuna intenzione di fare, ma si tratta pur sempre di una possibilità che esiste, seppure solo come extrema ratio. Dall’altra parte, potrebbe sempre farle votare la sfiducia dai consiglieri comunali.
E’ già addirittura ipotizzabile la fine anticipata di questa esperienza a tuo avviso?
Assolutamente no, è prestissimo perché ipotesi del genere possano essere considerate. Diciamo che si tratta, però, di due armi che possono essere agitate di fronte a Raggi in modo da evitare che le sue scelte si discostino troppo dalla linea del movimento.
Dopo quello che è accaduto negli ultimi giorni con questa tregua armata, Raggi è da considerarsi più libera rispetto alle scorse settimane?
La parte del movimento più vicina a Di Maio va dicendo in giro che lei sia più libera. Personalmente, però, non sono d’accordo. Non è in un momento di forza, anzi: la prima scelta fatta senza il mini-direttorio – quella di De Dominicis – è stata forse la peggiore di tutte per la rapidità con cui è stata costretta a rimangiarsela. Invece che più libera, bisognerebbe dire che è più sola.
Con noi ieri ha negato, ma ovviamente non vuol dire nulla. E’ una persona che si è sempre considerata vicina al movimento ma senza essere contraccambiato. Non mi pare che i cinquestelle abbiano mai manifestato la volontà di lavorare con lui – si pensi, ad esempio, a quando lanciò la sua candidatura a sindaco di Milano – ma è anche vero che a questo punto potrebbe succedere di tutto. Raggi è in difficoltà e potrebbe anche decidere di giocarsi una carta così d’impatto.
Ma il corto circuito di questi ultimi otto giorni a cosa è imputabile?
E’ dovuto a due guerre diverse che si sono però combattute nella stessa fase. La prima era interna al Campidoglio: da una parte c’era il cerchio magico della sindaca – composto da Marra, Romeo e Frongia – che agiva in totale autonomia e, direi, anche con spavalderia sia nei confronti del mini-direttorio, che di Minenna e dell’ex capo di gabinetto Raineri. Dall’altra parte, invece, c’erano proprio Minenna e Raineri: sostenuti da una parte del movimento – in particolare da Carla Ruocco e Paola Taverna – hanno provato a contenere Marra, Romeo e Frongia, ma hanno perso e sono stati costretti ad andarsene.
E la seconda guerra?
E’ quella interna al M5S: da un lato chi – come Di Maio – pensava che a Raggi dovesse essere lasciata ampia autonomia e dall’altro l’ala ortodossa che – in nome della discontinuità politica – non voleva che in Campidoglio a decidere fosse un ex di Alemanno.
Da chi è formata quest’ala di “puristi”?
Ruocco e Taverna – più che essere ortodosse – si sono ritrovate in prima fila nella battaglia, per la loro vicinanza a Minenna e Raineri e per la loro avversione nei confronti di Marra e Romeo. Ne fanno parte tantissimi deputati e senatori: in molti ritengono che Di Maio abbia commesso errori gravi e che per questo motivo vada fortemente ridimensionato il suo potere.
In questo scontro interno qual è la posizione di Grillo? Sta cercando di difendere il direttorio?
Il punto non è tanto il suo legame con i membri del direttorio: certo gli è molto piaciuto il tour sulla Costituzione di Di Battista, è affezionato a Roberto Fico e ritiene che Di Maio per molti versi abbia lavorato bene pur non condividendone in pieno il suo agire da vecchia politica. La vera questione è un’altra: se consentisse l’attacco al direttorio, nel movimento scatterebbe inevitabilmente il caos. Grillo ha dovuto necessariamente blindare il vertice e, al contempo, rassicurare l’ala ortodossa.
Pensi che negli ultimi giorni ci sia stata una manovra interna per tentare di disarcionare o, comunque, ridimensionare Di Maio?
Non credo si tratti di questo. Esiste sicuramente una certa disapprovazione rispetto alla fuga in avanti di cui Di Maio è stato protagonista negli ultimi mesi, ma non credo che si sia già arrivati a quel punto. Per sintetizzare, direi che c’è molto malumore ma che non esiste – almeno per ora – un dissenso organizzato nei suo confronti.
Ritieni che Di Battista possa sfidare Di Maio per la leadership? Paolo Becchi – in un’intervista di ieri a Formiche.net – ha detto che, a suo avviso, ciò non accadrà.
C’è chi pensa che Di Battista abbia delle ambizioni da candidato premier, ma io non sono tra questi. Al contrario, sono d’accordo con Becchi. Ritengo che Di Battista e Di Maio abbiano fatto un patto e che sappiano di essere in qualche modo complementari: il primo capace di infiammare le piazze come nuovo showman del movimento e il secondo, invece, in grado di andare a pranzo con l’Ispi. Una teoria che mi sembra confermata anche dall’atteggiamento che Di Battista ha tenuto a Roma: è rimasto completamente al di fuori della vicenda, non ha messo bocca su niente e non ha indicato neppure un assessore. Mi pare che voglia essere il volto del M5S ma senza ricoprire ruoli di gestione attiva.
Fin qui la loro volontà. Ma questa divisione di ruoli come viene vissuta all’interno del movimento?
C’è chi non la condivide. In particolare, la frangia ortodossa del movimento – in rotta con Di Maio – è in cerca di soluzioni alternative: sa che Fico non ha né la voglia né, forse, il carisma per guidare e per questo sta guardando a Di Battista come possibile leader. Ma – lo ripeto – dubito che il diretto interessato sia d’accordo con questa impostazione.
Il no alle Olimpiadi era inevitabile?
Per come si sono messe le cose direi di sì e il post pubblicato in mattinata sul blog di Grillo lo certifica. I Giochi Olimpici saltano perché – con tutte queste divisioni interne – Raggi non poteva permettersi di avere su questo argomento alcun cedimento. Il sì alle Olimpiadi non sarebbe stato minimamente accettato all’interno del movimento, tanto più dopo gli ultimi otto giorni di fuoco.
Ultima questione: ma perché nella squadra di Virginia Raggi sembra che possano essere sostituiti tutti tranne la responsabile dell’Ambiente Muraro?
Penso che alla fine salterà anche lei. Mi pare tanto il tentativo disperato di tenere occupata una casella fondamentale della giunta, ma non credo che questa situazione possa andare avanti ancora per molto tempo. Non possiamo sapere se sia lì per garantire qualcosa o qualcuno – lo stabiliranno eventualmente le indagini – ma, a prescindere da ciò, non credo che possa restare. Le pressioni interne affinché venga sostituita sono fortissime.