Di nuovo ai ferri corti. Stati Uniti e Cina litigano sulle regole del commercio mondiale dopo che l’amministrazione di Donald Trump ha ufficializzato che non riconoscerà lo status di economia di mercato a Pechino. Una non notizia, si direbbe, visto che la linea è quella che aveva portato avanti anche l’amministrazione di Barack Obama. Ma questa volta ad alzare il tiro è Pechino che adesso chiede il rispetto delle leggi e dei principi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto).
CINA: REMINISCENZE DA GUERRA FREDDA
“Il concetto di Paese non economia di mercato non esiste nelle regole del Wto” – ha dichiarato il portavoce del mnistero degli Esteri di Pechino, Geng Shuang come riportato dall’agenzia di stampa Reuters. “È solo una reminiscenza di legge interne di alcuni membri del Wto nel periodo della Guerra Fredda. Alcuni Paesi stanno cercando di scansare le loro responsabilità e, per questo, sollecitiamo i Paesi in questione ad onorare strettamente il loro impegno verso le leggi e i principi internazionali e di adempiere ai loro concordati nei patti internazionali”.
USA: CONTINUA IL DUMPING CINESE, IL CASUS BELLI, DOPO ACCIAIO È L’ALLUMINIO
Parole dure che però non hanno scalfito più di tanto il governo americano che già nello scorso giugno con il suo rappresentante per il commercio estero, Robert Lighthizer aveva ribadito che la Cina non può essere considerata economia di mercato perché non rispetta le regole commerciali più evidenti, a partire dai sussidi di Stato che vengono elargiti da Pechino alle aziende statali fino alla mancata apertura alle aziende straniere che devono avere sempre un partner locale di maggioranza per poter investire in Cina. Non è un caso che gli Stati Uniti hanno rispedito al mittente i piagnistei cinesi e con sottosegretario al tesoro, David Malpass hanno posto l’accento su diversi dossier aperti proprio contro i sussidi e il dumping praticato dalle aziende cinesi: “Le imprese statali non hanno dovuto affrontare rigidi vincoli di bilancio e la politica industriale cinese è diventata sempre più problematica per le imprese straniere. Enormi crediti di esportazione stanno fluendo in modi non economici e distorcono i mercati” ha detto Malpass all’agenzia Bloomberg. Il casus belli è rappresentato dalla decisione del Dipartimento del Commercio americano di dare il via in queste ore a delle indagini anti-dumping e anti-sussidi sui fogli di alluminio importati dalla Cina. Si è trattata della prima indagine di questo tipo dal 1985, quando nel mirino c’erano i semiconduttori provenienti dal Giappone. E fa il paio con l’inchiesta dello scorso anno sull’acciaio che ha mobilitato oltre agli americani anche l’Unione Europea.
CHI HA RAGIONE? IL WTO ANCORA NON SI ESPRIME
Questa guerra incrociata tra Cina e Stati Uniti ma anche Unione Europea e Cina sul riconoscimento dello status di economia di mercato vede ad oggi un arbitro silente proprio nel Wto. Se per i cinesi il riconoscimento dovrebbe essere immediato visto l’adesione all’Organizzazione mondiale per il commercio avvenuta nel 2001, non la pensano così i maggiori player commerciali. Il protocollo di adesione della Cina alla Wto autorizza infatti membri dell’Organizzazione a metodologie di calcolo “non standard”, che non fanno affidamento sui prezzi cinesi quale criterio per la determinazione del dumping e dei conseguenti dazi. Gli aderenti all’Organizzazione sono cioè liberi di stabilire, secondo le proprie regole interne, se la Cina sia o meno un’economia di mercato e, di conseguenza, se i prezzi sul suo mercato interno siano automaticamente da considerarsi come una base di calcolo affidabile nelle procedure antidumping.
Quello che è certo è che il Wto non stabilisce criteri uniformi per determinare lo status di economia di mercato. L’Unione Europea si sa che con il regolamento n. 1225/2009 ha fissato cinque criteri in presenza dei quali riconosce al partner commerciale il Mes. Il primo criterio richiede che le decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi vengano prese in risposta a tendenze del mercato che rispecchiano condizioni di domanda e di offerta, senza significative interferenze statali. E la Cina questo criterio non lo soddisfa affatto così come gli altri requisiti come la trasparenza dello Stato di diritto per garantire il diritto di proprietà e il funzionamento di un regime fallimentare o l’esistenza di un settore finanziario che operi indipendentemente dallo Stato. La strada scelta dall’Unione europea è stata quella di una riforma del meccanismo dell’antidumping che di fatto ha accantonato il problema dell’economia di mercato, mentre gli Usa hanno deciso di non riconoscere platealmente lo status a Pechino. E finché l’arbitro non si pronuncerà è chiaro che i cinesi useranno tutti i mezzi a loro disposizione per alimentare il clima da caccia alle streghe o, meglio, come ha detto proprio il portavoce del ministero degli Esteri “di reminiscenza da Guerra Fredda”. Anche se siamo nel 2017, quasi 2018.