A neanche 24 ore dal sesto trilaterale tra Egitto, Cipro e Grecia che “accompagna” la nuova rete del gas mediterraneo, ecco la risposta di Gazprom: il ceo Aleksei Miller annuncia la ripresa delle importazioni dalla quarta riserva mondiale di gas.
Quel Turkmenistan che già serve il mercato cinese in maniera significativa, come moneta di scambio per saldare il debito sul collegamento del gasdotto, finanziato da Pechino, che attraversa anche i vicini Uzbekistan e Kazakistan.
TURKMENISTAN
“Siamo molto lieti che in Turkmenistan Gazprom sia considerato un partner affidabile per la realizzazione di grandi progetti. Ma al momento le questioni prioritarie che dobbiamo risolvere sono quelle relative agli acquisti”.
Così il ceo di Gazprom al termine dei colloqui con il presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhammedov, certo che quanto prima il colosso russo avvierà “negoziati concreti e sostanziali” sulla ripresa degli acquisti di gas turkmeno.
Ma se da un lato Miller ha evitato accuratamente di precisare quantitativi e cifre, dall’altro non si può non notare come in questa mossa vi sia la prospettiva moscovita di lanciare una ciambella di salvataggio al Turkmenistan, al momento agganciata a Pechino da accordi siglati al ribasso.
La svolta è datata 2015, quando la Russia disse stop al gas turkmeno dimezzandone i suoi acquisti: la prima conseguenza fu un rosso fisso sui conti del Paese che per questa ragione venne spinto tra le braccia di Pechino.
Tra l’altro nel 2016 la compagnia russa si è rivolta a un tribunale arbitrale e ha chiesto 5 miliardi di dollari per pagamenti in eccesso.
ESPLOSIONE
Nell’aprile del 2009 un oleodotto costruito nel 1975 esplose minando, di fatto fino a ieri, le esportazioni di gas turkmeno verso la Russia. In quelle ore il Turkmenistan accusò Mosca di aver “spento” il gasdotto, spinta dal monopolio russo delle esportazioni targate Gazprom che avrebbe tagliato le importazioni causando così l’incidente.
E osservò che le basse importazioni di gas rappresentavano una violazione unilaterale dei termini del contratto di fornitura di gas. In sostanza il forte cambiamento di pressione avrebbe causato la rottura di una condotta, il che secondo il Turkmenistan rappresentava una grave violazione delle regole di acquisto del gas. Ma Gazprom, negando il proprio coinvolgimento, sostenne che non vi erano basi per l’accusa.
Nello stesso mese vi fu un’altra esplosione simile: in Moldavia saltò in aria un gasdotto, così da ridurre fortemente le forniture di gas russo in Romania, Bulgaria e Turchia.
OLTRE IL GAS?
A questo punto il mercato turkmeno del gas potrebbe rappresentare, tramite la zampata di Gazprom, l’occasione per nuovi business russi in loco. Un passaggio che, nella conversazione telefonica intercorsa tra Vladimir Putin e Gurbanguly Berdymukhammedov, pare sia stato più che toccato con riferimento al settore delle trasformazioni energetiche e dell’Ict (Information and comunication technology).
Sul primo Gazprom vorrebbe essere presente in una serie di progetti legati alla chimica, anche grazie ai buoni uffici della sua sede in Uzbekistan. Lì vi opera un consorzio che include, tra gli altri, Gas Project Development Central Asia (una sussidiaria di Gazprom International).
Sul secondo, al momento, pesa un precedente giudiziario tra le parti. Tre mesi fa il colosso delle telecomunicazioni di Mosca, Mts, si era rivolta all’arbitrato della Banca Mondiale per chiedere 750 milioni di dollari al Turkmenistan. Un risarcimento per aver forzato nel 2017 la chiusura della sua società in loco, che sarebbe stata oggetto (secondo le accuse russe) di pratiche condotte in violazione degli accordi internazionali.
MAR CASPIO
Risale allo scorso mese di agosto la firma della convenzione del Mar Caspio, che comprende una serie di accordi per il riavvio delle importazioni di gas dal Turkmenistan.
In quell’occasione i cinque leader presenti firmarono la Convenzione sullo status giuridico del Mar Caspio: il Presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev, il presidente iraniano Hassan Rouhani, il presidente kazako Nursultan Nazarbaev, il presidente russo Vladimir Putin e il presidente turkmeno Gurbanguly Berdymukhammedov.
Il nodo riguardava la divisione del Mar Caspio e regolava le questioni relative alla cooperazione militare e allo sviluppo delle risorse biologiche (quindi il fondo marino e il sottosuolo con i relativi giacimenti). La convenzione vieta anche la presenza di basi militari di Paesi terzi nel Mar Caspio su insistenza della Russia. Ma nei prossimi due anni Mosca potrebbe aumentare significativamente le sue forze navali proprio in quella regione.
In prospettiva (ma nel medio-lungo periodo) si lavora alla costruzione di un gasdotto trans-caspico per il trasporto di idrocarburi dall’Asia centrale verso l’Europa.