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Trivelle, le conseguenze dello stop deciso dal governo spiegate da Giliberto

Jacopo Giliberto

Istituzioni, imprese e sindacati in piazza insieme oggi a Ravenna per contestare la moratoria del governo sulle trivelle e per difendere quella che i promotori della manifestazione definiscono l’energia nazionale. E quindi le risorse di cui il nostro Paese è ricco, ma anche le tante aziende che operano nel settore e i loro lavoratori. Che non a caso hanno deciso di manifestare uniti, a conferma della nuova inedita alleanza che si sta andando a creare in Italia, nell’energia ma non solo. Un’iniziativa fortemente sostenuta dalle istituzioni locali – con il sindaco di Ravenna Michele de Pascale (qui la sua intervista di ieri a Formiche.net) e il consigliere regionale Gianni Bessi in prima linea – che però ha richiamato nel capoluogo romagnolo un pezzo rilevante del mondo italiano dell’energia, dall’Abruzzo alla Sicilia passando per la Basilicata. Ma quali sono le implicazioni della moratoria decisa dal governo? E cosa sta succedendo nel frattempo nel Mar Adriatico dove in acque italiane è stato stabilito lo stop a qualsiasi tipo di attività? Formiche.net lo ha chiesto alla firma del Sole 24 Ore Jacopo Giliberto, che segue questi temi per il quotidiano oggi diretto da Fabio Tamburini.

Giliberto, secondo lei qualche possibilità che il governo torni sui suoi passi dopo quanto deciso con il decreto Semplificazioni ormai convertito in legge?

Mi sembra davvero difficile che il governo possa rivedere la moratoria sulle trivelle visto che si tratta di una scelta profonda soprattutto per una delle due parti politiche della maggioranza, Ovviamente il MoVimento 5 Stelle. Cosa comporterà la decisione? Un rallentamento importante delle attività qui in Italia e l’aumento delle importazioni energetiche da altri Paesi.

Con quale prezzo per l’Italia a suo avviso?

A mio parere il costo per cittadini e imprese non cambierà in modo così rilevante e rilevabile. Aumenteranno invece soprattutto i rischi derivanti dall’incremento delle importazioni: i pericoli ambientali che porta con sé ad esempio il trasporto attraverso le petroliere. O la necessità di costruire nuovi impianti. Sicuramente importare l’energia da fuori aumenta l’inquinamento. Più petroliere, più gasdotti, più autobotti che si devono muovere: per di più per avere combustibili estratti in Paesi che certo non possono definirsi democratici o andando ad arricchire oligarchi più che discutibili.

Le ripercussioni più pesanti rischiano di esserci sulle imprese e sui posti di lavoro. È così?

È l’aspetto che mi preoccupa di più: le nostre aziende rischiano di subire una pesante ricaduta sulla loro attività produttiva con ripercussioni inevitabili pure sui lavoratori. D’altronde lo sappiamo che l’andamento dell’industria determina effetti diretti sui licenziamenti e l’estrazione mineraria dei combustibili non fa eccezione. In parte ci siamo già passati: lo stop alle trivellazioni entro le 12 miglia che ha anticipato il referendum di tre anni fa ha prodotto moltissimi licenziamenti nel settore. Persone in carne ed ossa che sono rimaste per strada.

Intanto nel Mar Adriatico, in prossimità delle acque e delle coste italiane, cosa sta succedendo?

Sono tutti molto attivi, in particolare la Croazia. I giacimenti dell’Adriatico, come quelli del Golfo Persico peraltro, sono come gigantesche granite: la cannuccia che arriva prima sul fondo si succhia tutto lo sciroppo. Lo stesso succede con questi giacimenti. Sto pensando alle piattaforme dell’Ina – la compagnia petrolifera di Stato croata – che sono al confine delle acque di loro competenza esclusiva, a un metro dalla linea di confine, dal mare italiano. O ancora all’isola di Pelagosa, vicinissima alla Tremiti, che è stata italiana per secoli e per millenni e che dal 1945 fa parte dell’ex Jugoslavia. “No alle trivelle”, dicono in Puglia ma a un metro da lì, le attività procedono in maniera intensa. Di fatto, i croati vengono a trivellare davanti al naso dei pescatori delle Tremiti e delle scogliere del Gargano.

Piuttosto paradossale, non crede? Anche alla luce di questo, cosa si sente dire in merito alla politica energetica del governo?

Solo due parole, forse quattro: troppo velleitaria, meno velleitarismo. È giusto traguardando obiettivi lontani e cercare di raggiungere anche risultati di visione, ma sulle cose pratiche occorre muoversi per passi concreti. Altrimenti è tutto inutile.

E intanto a Ravenna sfilano insieme in piazza imprese e lavoratori. Cosa ci dice questa nuova alleanza?

Che le cose sono profondamente cambiate e che in questo mondo in evoluzione l’antagonismo non è più tra padroni e lavoratori – che anzi spesso sono dalla stessa parte – bensì tra industria e anti-industria.

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