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Con la cultura? Si mangia eccome (ma soprattutto si cresce). Parla Wolff

Con l’Ams, la società con sede in Connecticut che ha fondato trent’anni fa e che tutt’oggi presiede, Steven Wolff, uno degli operatori e imprenditori culturali più noti degli Stati Uniti, ha cambiato il volto di alcune città. Ad esempio Pittsburgh (Pennsylvania), ex città siderurgica riconvertitasi con successo, dove ha pianificato la creazione di un ‘cultural district’ che conta oggi 14 isolati – comprensivi di oltre 90 negozi, 50 ristoranti, 7 teatri, 8 parchi pubblici e più di 10 gallerie d’arte – capace di attrarre ogni anno circa 2 milioni di visitatori.
A Roma per un giro di incontri e per partecipare a un convegno promosso dall’Ambasciata degli Stati Uniti d’America in Italia in collaborazione con l’associazione Amerigo, Cultura Italiae, l’associazione Civita, Global Investors Alliance e Utopia, Wolff ha parlato con Formiche.net di come il patrimonio culturale possa costituire – soprattutto nella Penisola – un forte driver per la crescita economica.

In che modo la promozione del patrimonio culturale può aiutare la crescita economica? C’è una corrente d’opinione che considera gli investimenti in questo settore un costo, o comunque meno redditizi di quelli in manifattura o infrastrutture. Che cosa ne pensa?

Le persone vivono, lavorano o visitano determinati Paesi per quelle cose che rendono le località autentiche, speciali e rilevanti. Non c’è niente che attragga di più della cultura. Le opportunità che derivano da una cultura così antica come quella di Roma, nonché la cultura contemporanea italiana, e dallo sviluppo degli elementi culturali che fanno capo a questo Paese, rendono l’Italia un Paese piacevole dove lavorare, ma anche da visitare. A parlare è il giro economico che arte e cultura sviluppano.

Può dare qualche numero? Esistono stime dell’impatto di arte e cultura sull’economia americana?

Sono numeri incredibili. Secondo dati piuttosto recenti, il settore culturale negli Stati Uniti vale circa 166 miliardi di dollari, impiega più di 4 milioni di persone e coinvolge decine di milioni di cittadini, producendo anche diversi miliardi di dollari di entrate – più di 27 – per enti locali, statali e federali.

Eppure in Italia è difficile valorizzare a dovere l’enorme patrimonio artistico e culturale a disposizione. Perché?

Certamente dagli Stati Uniti siamo abituati a pensare che il vostro retaggio culturale e artistico sia incredibile. Il giudizio esterno inoltre è spesso migliore di quello dato dall’interno. Dal mio breve viaggio in Italia ho imparato che aumentare l’accessibilità e la partecipazione aiuterà le persone a capire al meglio quanto sia elevata l’eredità culturale italiana.

Uno dei problemi da affrontare, quando si parla di attrazione di turismo culturale e non solo, è lo sviluppo di servizi. Quanto pesano questi ultimi sulla scelta della meta da parte di un visitatore?

Se pensiamo in termini di esperienza, ognuna di queste ha due lati. Il primo è il contenuto, che ha un’importanza primaria. Il secondo è il servizio clienti, che è ugualmente rilevante. Quando le persone hanno di fronte numerose opzioni e devono scegliere, sceglieranno la situazione meglio organizzata, dove vengono trattate con riguardo e possono vivere i momenti più sereni. In questo assumono un ruolo rilevante le città, che sono diventate il punto focale per la creazione di innovazione e di scambio, come accaduto a Pittsburgh, dove il cultural district non produce solo lavoro, ma rappresenta un modo per trasformare modellare la stessa identità delle persone e dei visitatori.

Quale esperienza passata o quale best practice troverebbe utile trasferire in Italia?

È molto complicato traferire esperienze, perché ogni luogo ha delle sue peculiarità. La cosa più importante è avere dei “campioni”, persone che credono in quello che fanno, promuovono le attività e perseverano a creare progetti di stampo culturale. Ci sono diverse iniziative culturali di importanza critica, ma so che è molto difficile far sì che la cultura sia non solo un accessorio, ma una ragione per cui vivere. Credo che avere una comprensione chiara di cose rende di successo una iniziativa culturale sia molto importante. Avere una strategia e una visione a lungo termine è fondamentale.

Come possono, invece, Internet e le tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale o la realtà virtuale e aumentata aiutare la promozione del patrimonio culturale?

In primo luogo la tecnologia cambia il tipo di coinvolgimento nelle attività culturali, da passivo ad attivo. Ognuno può partecipare attivamente e non solo osservare e questo è davvero incredibile. La creatività fa parte di tutti noi ed è una grande opportunità. Il secondo ambito dove la realtà “aumentata” aiuta è nell’accessibilità e nella distribuzione, perché rende più facile per i cittadini accedere a questo tipo di contenuti. L’incrocio tra storie, big data e realtà aumentata è un modo innovativo di fare cultura, migliore al momento di qualsiasi altro. Ci può aiutare a spiegare, a colmare le differenze per una migliore comprensione. È una vera opportunità, ma anche un grande rischio.

Quale rischio intravede?

Arte e cultura sono migliori da vivere quando c’è una persona che racconta e una che ascolta. Una delle cose che mi preoccupa di più al momento rispetto alla internet based technology e il suo coinvolgimento nelle esperienze culturali è che è eccessivamente individuale. Io lavoro con un’azienda di realtà virtuale nel nord est degli Stati Uniti, e posso dire che c’è una tecnologia pronta per produrre dispositivi che danno la sensazione di essere in un luogo, insieme ad altri turisti, quando in realtà siamo seduti sul nostro divano. Si può anche interagire tra coloro che possiedono questi dispositivi, ci si vede e si può dialogare. Non è solo la vibrazione della sedia, ma la massima espressione della realtà aumentata che può far percepire ai nostri sensi una realtà che in verità è fittizia. Io credo che questo tipo di esperienze sia invece meglio viverle dal vivo, realmente. La presenza di altre persone arricchisce di certo ogni esperienza culturale. La realtà virtuale non può competere con la possibilità di camminare su una strada e vedere un monumento dal vivo.



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