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Fra Trump e Xi, Huawei gode. Per ora

Dopo le scintille del primo giorno, i progressi attesi sono arrivati, anche se timidi per il momento. Dal G20 di Osaka, è giunta la notizia che Cina e Stati Uniti riprenderanno i negoziati sul commercio e metteranno di nuovo in tregua la trade war, che ha pesanti risvolti anche in ambito tecnologico. Su questo terreno, a tendere una mano è stato innanzitutto il presidente americano Donald Trump, che si è detto disponibile a consentire alle compagnie Usa di vendere componenti alle aziende cinesi, ma ha anche sottolineato di non voler rimuovere per il momento Huawei (e altre 68 affiliate) dalla ‘lista nera’ del Dipartimento del Commercio statunitense, perché il futuro dell’azienda non sarà deciso fino alla fine dei colloqui. Ma nei prossimi giorni – ha indicato martedì come data possibile – la questione delle restrizioni al gruppo potrebbe essere affrontata durante un incontro governativo.

LA MOSSA DI TRUMP

Una mossa, quella di Trump, che va letta in due modi. Da un lato l’inquilino della Casa Bianca va incontro a Pechino e ai suoi colossi tech, in primis quello di Shenzhen, simbolo dello scontro ormai globale che si sta consumando tra Washington e Pechino sul delicato terreno delle reti ultraveloci di nuova generazione, il 5G (senza tuttavia chiarire quanto ampio sia il via libera agli acquisti e se si tratti di uno nuovo o se si riferisca alla proroga di 90 giorni già decisa). Dall’altro, in questo modo, il presidente americano potrà contribuire a ‘sanare’ una situazione che – aveva raccontato nei giorni scorsi il New York Times – avrebbe visto in queste settimane aziende leader nel settore dei semiconduttori, come Intel e Micron, trovare il modo di evitare il ban facendo leva sull’etichettatura delle merci, rendendole così non fabbricate in America e quindi vendibili se non contengono tecnologia che possa rappresentare un rischio per la sicurezza nazionale. Le tech cinesi lavorano da anni, con risultati non all’altezza delle aspettative secondo gli addetti ai lavori, alla realizzazione di chipset proprietari, ma dipendono tutt’ora da quelli Usa, anche se stanno tentando con fatica di diversificare la catena di approvvigionamento. Non si sarebbe parlato, invece, del caso del direttore finanziario di Huawei, Meng Wanzhou (figlia del potente fondatore della compagnia, Ren Zhengfei, arrestata a dicembre a Vancouver su richiesta Usa con l’accusa di aver violato le sanzioni americane all’Iran. Meng, ora in libertà vigilata, è in attesa che il Canada decida sulla estradizione negli Stati Uniti.

LA REPLICA DI PECHINO

Replicando alle parole di Trump, Wang Xiaolong, inviato speciale per gli Affari del G20 del ministero degli Esteri cinese, ha spiegato il punto di vista di Pechino e del suo presidente, Xi Jinping. “Ovviamente”, ha detto, “noi daremo il benvenuto a queste parole se fossero messe in atto”. Aggiungendo che “Huawei è una società privata con tecnologie guida nell’It. Mettere restrizioni rende ogni parte perdente”. Parole che mettono in luce quanto, come ha scritto Bloomberg sintetizzando l’incontro tra i due capi di Stato, una pace duratura “rimane ancora inafferrabile”.

LA QUESTIONE 5G

Questo perché, almeno per quanto concerne i dossier tecnologici, l’attenzione americana non è rivolta solo alla parte commerciale. In cima ai pensieri di Washington, ha più volte raccontato Formiche.net, ci sono innanzitutto le implicazioni di sicurezza legate al 5G e al ruolo di Pechino nello sviluppo delle nuove reti mobili. Che, secondo l’amministrazione americana, non possono trovare una soluzione soddisfacente con mere mosse tattiche, come quelle di questi giorni, ma necessitano di cambiamenti strutturali nella supply chain occidentale, quantomeno per ciò che riguarda le nevralgiche infrastrutture critiche e l’infosharing. Washington ne sta ancora discutendo con l’Italia e con tutti i partner europei e Nato, cercando di sensibilizzarli, in modo da trovare policy condivise (a questo era dedicato un summit internazionale tenutosi nei mesi scorsi a Praga). Secondo produttore di smartphone al mondo dietro alla sudcoreana Samsung, e davanti all’americana Apple, Huawei è da tempo una osservata speciale da parte dell’amministrazione Usa, che teme l’espansionismo cinese condotto attraverso le nuove tecnologie, in particolare le nuove reti mobili ultraveloci di nuova generazione, oggetto di una vasta campagna diplomatica da parte del Dipartimento di Stato.
In particolare, gli Usa hanno a più riprese avvisato i Paesi partner e alleati che affidarsi a tecnologia cinese – in particolar modo nello sviluppo del 5G – potrebbe influire sulla capacità americana di condividere informazioni di intelligence con gli alleati. La Casa Bianca teme infatti che i giganti tech del Paese asiatico possano diventare strumenti di spionaggio della Repubblica Popolare, anche per effetto di una legge sull’intelligence che obbliga le aziende cinesi a collaborare con la madrepatria. Inoltre, la rete 5G comporterà notevoli cambiamenti, connetterà una vasta moltitudine di dispositivi Iot – dalla mobilità alla telemedicina – e per velocità supererà in prospettiva di 100 volte quella attuale delle reti 4G. Per gli Usa sarebbe quindi un rischio dare alla Cina l’ipotetica possibilità di poter “spegnere” infrastrutture strategiche o l’erogazione di servizi essenziali. Ed è su questo terreno, nel quale si intersecano dispute commerciali e nuove necessità di sicurezza, che si gioca il duello globale, sempre più acceso e strategico, tra Washington e Pechino.

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