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L’Italia piace ancora alle imprese ma…Parla Caroli (Luiss)

Attenzione agli inganni. L’Italia non è un Paese refrattario a qualunque investimento. Le cose non stanno così, non esattamente almeno. La vicenda Arcelor Mittal-Ilva ha lasciato alcuni interrogativi: può un grande investitore internazionale minacciare la fuga a otto mesi dal suo ingresso nella più grande acciaieria d’Europa? E con quali conseguenze per la nostra economia? Allora l’Italia non è un Paese per imprenditori? Matteo Caroli, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese internazionali alla facoltà di Economia dell’Università Luiss, fa alcuni chiarimenti in questo colloquio con Formiche.net.

IL VERO PROBLEMA

“Se penso alla questione dell’Ilva, non vedo francamente un problema politico di fondo. La verità è che questo Paese ha certamente dei limiti evidenti ma anche dei grandi punti di forza. Siamo un sistema industriale ancora leader e per questo non credo assolutamente che all’estero ci sia una disaffezione nei nostri confronti. Pensiamo solo al settore farmaceutico, che qui ha investito tantissimo e che produce altrettanto”, spiega Caroli. “Semmai sono 25 anni che scontiamo sempre lo stesso problema, la produttività. Abbiamo difficoltà in questo senso, questo è il vero problema. Un problema figlio essenzialmente di altre due questioni, non superate”.

UN PAESE COMPLICATO

Chiarito che l’Italia non è meno attrattiva di altri Paesi, secondo Caroli i due buchi neri sono la burocrazia e l’incertezza normativa. “Se un’impresa decide di non investire qui non lo fa perché non reputa l’Italia un buon Paese ma semplicemente perché c’è una burocrazia complicata e un’incertezza normativa che penalizza. Non posso metterci anni per avere un’autorizzazione per ampliare il mio stabilimento. E poi non dimentichiamoci di una cosa: la lentezza burocratica è un costo implicito perché il tempo che io aspetto e impiego ha un costo e comunque gli adempimenti burocratici hanno un costo. Per questo non mi sbilancio quando dico che le imprese da un certo punto di vista temono più la burocrazia delle tasse, che comunque in Italia sono elevate”. Di più. “Le aziende non avrebbero nulla da obiettare se alle tasse versate corrispondesse una semplificazione burocratica di cui questo Paese ha bisogno”.

IL NODO INFRASTRUTTURE

Dalle grandi imprese alle grandi opere il passo è breve. L’Italia ha bisogno di infrastrutture e questo non è un mistero. Per Caroli non c’è molta differenza tra una grande impresa che lamenta una burocrazia lumaca e regole ballerine e un cantiere che non riesce a partire. “Il problema dell’incertezza e delle regole è trasversale e contagia anche le opere, come i trasporti e le ferrovie. Anche qui vale il discorso di prima. Non è giusto pensare che una grande impresa non venga a costruire qui a priori. Semmai è più corretto pensare che un’azienda prima di muoversi pretenda una certezza che ancora manca”.

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