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Salvini, il Papeete e lo spettro di Berlusconi. Parla il prof. Panarari

E se la gran festa leghista di Salvini al Papeete, fra cubiste, musica dance e cocktail non fosse altro che un dejavu? “Serve a distrarre l’attenzione dal grande caos che regna nel governo — spiega a Formiche.net Massimiliano Panarari, politologo e saggista, docente di Campaining e Organizzazione del consenso alla Luiss – ma da un punto di vista comunicativo è un remake.

Professore, di cosa?

Dell’immaginario berlusconiano, cambiano solo tempi e protagonisti. In questo la Lega di Salvini ha poco o nulla a che vedere con la Lega bossiana. Non è un caso che ieri fra i tanti parlamentari che si sono prenotati un ombrellone o una sdraio non ci fosse Giancarlo Giorgetti. Non si trova a suo agio con questa interpretazione della politica.

Di cosa parliamo?

Potremmo chiamarla populismo pop. La cifra caratteristica della Lega nazional-populista salviniana e di tutti i neopopulismi è la reazione. Alla globalizzazione, la crisi economica, i mutamenti valoriali, si contrappone la nostalgia per un passato che non c’è più.

Quale?

In questo caso gli anni ’80. La performance di Salvini e dei suoi al Papeete è la perfetta declinazione dell’edonismo reaganiano che affonda le radici in quegli anni. E che in Italia è stato recuperato dall’epopea berlusconiana, da cui nemmeno Salvini può prescindere.

Come si sposa tutto questo con la destra identitaria cui Salvini strizza l’occhio da sempre?

Nell’euforia della festa al Papeete quel mondo viene sublimato, frastornato in un soundbite comunicativo, fino a farsi simulacro di se stesso. L’inno nazionale a suon di dj e cubiste dimostra la spregiudicatezza comunicativa del leader leghista e certifica un cambio di fase. È un’immagine molto forte, destinata a restare.

Tra i festanti c’era anche Giovanni Toti. Quante speranze ha di sopravvivere a Berlusconi il suo “Cambiamo!”?

In termini politici l’esperimento è chiaro: Toti ha scommesso da tempo sulla dissoluzione di Forza Italia e vuole far da pontiere con la Lega salviniana, rimanendone indipendente. Il governatore della Liguria cerca di intestarsi la paternità di una destra non identitarista per dare una mano a un’offerta politica che vede la Lega dominare ovunque. Ha realizzato, come in fondo ha fatto anche Berlusconi, che la destra italiana non è liberale, o lo è solo marginalmente.

Cioé?

Berlusconi ha provato a tenere insieme il centrodestra. Quello guidato da Salvini è un destra-centro. La destra identitaria si è mangiata gran parte del mercato politico. Per questo Toti si è convinto che l’unico modo per continuare ad avere un peso è costruire una seconda stampella della Lega assieme a Giorgia Meloni. È una scommessa, vedremo se sarà vincente.

I Cinque Stelle reggeranno il passo o saranno presto bollati come vecchia politica?

Ogni partito incarna a suo modo lo spirito dei tempi con una grande formula comunicativa. Quella dei Cinque Stelle è stata determinante finché non si è scontrata e poi sposata con una leadership vera, quella di Matteo Salvini. Ora ci sono due vie di uscita: costruire un altro modello comunicativo, o trovare un altro leader.

Alessandro Di Battista, ad esempio.

Lui scommette su un’ipotesi residuale. Un anno fa Di Maio e Conte hanno provato a trasformare il Movimento Cinque Stelle in un partito-Stato, una sorta di DC 2.0. Di Battista spera di recuperare un movimento antisistemico, anche a costo di vederlo dimagrito, per fare una guerra di movimento e porre fine alla fase istituzionale e alla guerra di trincea con la Lega.

(Foto: account Twitter di Matteo Salvini)



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