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Perché l’intelligence americana accusa (di nuovo) Trump

Quando manca poco più di un anno alle elezioni presidenziali, un nuovo caso scuote l’amministrazione americana. E, evidenzia, ancora una volta, i rapporti travagliati che esistono sin dal suo insediamento tra il presidente americano Donald Trump e l’intelligence community nazionale.

IL CASO

Al centro della vicenda c’è una presunta e misteriosa ‘promessa’ che l’inquilino della Casa Bianca avrebbe fatto durante una telefonata a un leader straniero dall’identità finora ignota, ma che secondo le ultime ricostruzioni dei media d’oltreoceano potrebbe essere il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (un collegamento che il Guardian fa anche in relazione a frasi dette dal trumpiano ex sindaco di New York Rudolph Giuliani). Una circostanza denunciata formalmente il 12 giugno scorso da un funzionario dei servizi segreti Usa assumendo lo status di ‘whistleblower’, la figura dell’informatore che comunica un illecito godendo delle protezioni dell’ordinamento giuridico statunitense.

CHE COSA SUCCEDE

Il tycoon ha liquidato su Twitter la notizia come “un’altra storia di fake news”, spiegando di sapere bene che quando parla al telefono qualcuno delle agenzie di sicurezza potrebbe ascoltarlo. E che, dunque, non direbbe mai nulla di inappropriato. Ma la Camera dei Rappresentanti, dove la storia è approdata alla Commissione Intelligence, vuole saperne di più per capire se il presidente o il suo staff abbiano provato a insabbiare la segnalazione.

LE INDISCREZIONI SU KIEV

Nelle cinque settimane precedenti, segnalava un paio di giorni fa il Washington Post, Trump aveva parlato o interagito con cinque leader stranieri: il russo Vladimir Putin, il nordcoreano Kim Jong-un, il premier del Pakistan, quello dei Paesi Bassi e l’emiro del Qatar. Ma ieri, lo stesso quotidiano della Capitale, citando fonti a conoscenza dei fatti, ha riportato che il capo di Stato Usa potrebbe aver parlato con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che Trump avrebbe cercato di convincere a gettare fango su uno dei suoi rivali in campo democratico, l’ex vicepresidente Joe Biden ora candidato alla Casa Bianca, per agevolare la sua rielezione.

GLI ALLARMI DELL’INTELLIGENCE

L’episodio (del quale non esiste ancora nessuna conferma) avrebbe allarmato l’anonimo funzionario dei servizi segreti che lo ha denunciato a Michael Atkinson, ispettore generale della intelligence community, che a sua volta ha ritenuto necessario notificarlo al Congresso e alla National Intelligence (Dni), l’organo che coordina le attività dell’ampia costellazione di agenzie per la sicurezza americane, oggi retta da Joseph Maguire dopo l’uscita di Dan Coats. Così la Commissione Intelligence della Camera, su spinta dei dem, ha convocato in questi giorni Atkinson (che in una riunione a porte chiuse ha comunque comunicato di non poter dire niente), mentre il 26 settembre sarà la volta di Maguire. Al presidente è in ogni caso assegnata un’ampia autorità nel decidere in modo unilaterale quando classificare o declassificare le informazioni. Ed è verosimile che la vicenda non si chiuda velocemente, anche perché la gestione ‘disinvolta’ di informazioni sensibili o semplicemente dei suoi colloqui da parte del tycoon preoccupa da tempo i servizi segreti americani. Tra i casi più emblematici emersi finora c’è l’esflitrazione di una spia americana a Mosca ritenuta a rischio a causa di possibili elementi comunicati forse involontariamente da Trump in incontri con leader stranieri, ma anche le aperture nel bel mezzo del Russiagate fatte dall’inquilino della Casa Bianca nei confronti di Putin dopo un vertice a Helsinki. Parole poi ritrattate dal magnate proprio dopo le accese proteste dei suoi oppositori politici ma anche di pezzi importanti, odierni e passati, dei servizi di sicurezza americani.



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