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Intelligence e whistleblowing, il caso Trump spiegato dal prof. Soi

Sia che possa essersi trattato di un problema di sicurezza nazionale legato alla sollecitazione di un intervento di un Paese straniero nelle elezioni statunitensi del 2020, sia che ci si trovi di fronte a un problema di giustizia legato a un potenziale abuso di potere, la denuncia dell’agente della Cia che ha dato il via alla richiesta di impeachment del presidente Usa Donald Trump dice qualcosa sui servizi segreti e sul loro operato.

LA HUMINT CONTA

La prima riflessione da compiere, spiega a Formiche.net Adriano Soi, ex prefetto oggi docente di Security studies all’Università di Firenze, riguarda l’importanza dell’elemento umano. In un’era come quella attuale, contraddistinta da comunicazioni digitali e intercettazioni compiute attraverso il monitoraggio della Rete, la humint – abbreviazione di human intelligence – riveste ancora un’importanza cruciale e rappresenta un tassello insostituibile nelle politiche di sicurezza. A prescindere da ciò che accadrà, se l’agente non avesse fatto rapporto sul contenuto della conversazione (che dice di non aver ascoltato ma che gli sarebbe stata detta), evidenziando un passaggio che aveva ritenuto importante, forse oggi il caso Trump-Zelensky non sarebbe esploso.

UNA QUESTIONE ANTICA

D’altronde, rilevano i media d’oltreoceano, la lista dei whistleblower negli Usa è nutrita e va molto indietro nel tempo e ha coinvolto anche in passato membri dell’intelligence (anche se, naturalmente, molto pochi visto il ruolo). Ma c’è un altro punto che, complice questo nuovo caso, sta alimentando il dibattito.

WHISTLEBLOWING E INTELLIGENCE

L’aspetto in questione, estremamente divisivo, riguarda il binomio whistleblowing-intelligence. Può un agente segreto essere un individuo che denuncia pubblicamente o riferisce alle autorità attività illecite o fraudolente (o che considera tali) all’interno del governo? Secondo Soi, in questo caso, che pur si delinea come complesso e controverso, lo 007 aveva poca scelta.
“Gli agenti sono tenuti a fare rapporto ai loro superiori, è parte integrante del loro lavoro. Nel caso specifico, l’agente avrà valutato che ci trovasse di fronte a un potenziale pericolo per la sicurezza nazionale, magari da approfondire, e ha ritenuto di dover informare i suoi capi che poi avrebbero avuto modo e autorità di valutare. Certo, avrebbe potuto anche non dir nulla, ma si è probabilmente confrontato con un dilemma etico e a frasi comunque rilevanti e, nell’incertezza, ha deciso di non rischiare”.
Negli Usa c’è tuttavia chi sospetta, soprattutto nel gruppo più vicino al presidente, che possa essersi trattato di un colpo basso dell’intelligence, che aspettava di colpire Trump, con il quale i rapporti sono tesi da tempo. “Siamo nel campo delle ipotesi”, dice Soi. “Di certo”, aggiunge, “questo non contribuisce certo a diradare i nuvoloni che da tempo si addensano sul rapporto tra i servizi segreti statunitensi e l’attuale inquilino della Casa Bianca”.


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