La settimana politica si è conclusa con due manifestazioni che hanno visto protagonisti due soggetti politici. Uno riverniciato, con una rinnovata facciata: il cosiddetto centrodestra e l’altro nuovo di zecca: Italia Viva. Il primo folkloristico, chiassoso, sprezzante nella storica Piazza San Giovanni a Roma, il secondo contenuto e pensoso dei destini del mondo a Firenze alla vecchia stazione della Leopolda.
Le piazze erano presidiate da tanta gente con in testa i rispettivi capipartito: a Roma Salvini, a Firenze Renzi. I due alleati-competitori, imitando il duo Berlusconi-Prodi o Berlusconi-Veltroni, come su un palcoscenico, si sono divisi lo spazio teatrale, il lumbard col 30% e il fiorentino in solitudine col 5% circa, secondo gli ultimi sondaggi. Essi hanno recitato con tanto calore le parti in commedia, ma lo spettacolo si è concluso senza sussulti. Il capo di Italia Viva naturalmente sta cercando di ridurre la distanza dal suo omologo lumbard, lanciando appelli a destra e a manca, più a destra che a manca, sperando di recuperare consensi alla propria causa. Il secondo già si sente il vero “motore primo”. I personaggi, affetti forse da inguaribile egotismo, ritengono che davvero l’Italia possa essere governata dal loro sgangherato bipolarismo, fatto da proclami altisonanti o da qualche giornata di meditazione su un binario morto, privo di idee progettuali di Paese e ignorando il percorso e i mezzi necessari per realizzarle?
Si continua ancora a puntare su scenografie attraenti e discorsi accattivanti, a ragionare sui massimi sistemi in campo economico, sociale, geopolitico, senza mai affrontare questioni che riguardano la carne viva, il quotidiano della gente comune: sanità, scuola, università, trasporti, assistenza sociale a piccoli, disabili, anziani. La gente vuole sapere verso quale futuro si avvia il Paese, per capire se c’è ancora una speranza da coltivare. Non si ha eco di programmi né si intravede una linea politica a cui un popolo frastornato può riferirsi, è così da più di un ventennio, si è costretti ad ascoltare solo proclami e slogan, ancora oggi richiamati a Roma da Salvini e alla Leopolda da Renzi, puntando sempre e solo sull’autoreferenzialità.
L’ex sindaco fiorentino, pur aprendo il suo partito ai “moderati”, non smette mai di spendere parole furbe nei confronti di chi gli fa ombra: il governo, il suo ex partito, creando fibrillazioni pericolose per mera visibilità, trascurando che esse possono causare prima o poi un infarto. I due Matteo immaginano che col 30 per cento l’uno e il 5 l’altro possano stabilire da soli maggioranze e minoranze parlamentari. Tra quel 30 e 5 c’è un buon 65% che non sta certamente a guardare, e che è già impegnato per lanciare una proposta di governo alternativa sia a Salvini che a Renzi. In quello spazio tra il lumbard e il ragazzo di Rignano c’è tanto elettorato sinceramente centrista che vuole tornare a contare e a dire la sua. Bisogna tenerne conto, perché l’equilibrio politico è ancora tutto da costruire.