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La strategia imperiale della Cina passa per Trieste. L’analisi di Cianciotta

La conquista dello spazio e la scelta di lasciare la terra per vincere la resistenza del mare, è stato uno dei presupposti che hanno trasformato in pochi secoli un Paese povero e dedito alla pastorizia come la Gran Bretagna, nel più potente e importante impero, che aveva imposto il suo concetto di spazio non solo con l’uso della forza, ma soprattutto con gli strumenti della finanza e con la conquista e la costruzione di piattaforme, per fare fluire velocemente le merci da una parte all’altra del globo.

I porti in quella strategia avevano un ruolo decisivo perché costituivano dei presidi e degli snodi sui territori, dei gatekeeper.

Se si sovrappone la cartina dell’impero britannico al progetto della Nuova Via della Seta si scoprirà che la Cina sta costruendo il suo impero rinnovando e implementando quelle stesse piattaforme (oggi diremmo hub), che avevano garantito alla Gran Bretagna per oltre un secolo di dominare il mondo.
E sono proprio il porto e la città di Trieste, come ho affermato di recente commentando su Formiche.net l’accordo tra il gruppo cinese China Communication Construction Company e il porto giuliano, le chiavi per comprendere come si sta muovendo la Cina per realizzare in Europa la Nuova Via della Seta.

La miopia europea ha regalato il Pireo alla Cina. Il sistema dei trasporti nei Balcani, però, è scadente e nonostante la Cina stia investendo anche nella ex Jugoslavia per costruire nuove infrastrutture attraverso l’accordo con tutti i Paesi del blocco sovietico, il futuro dei corridoi europei passerà inevitabilmente da Trieste, dove ieri si sono dati appuntamento 170 operatori economici italiani e asiatici su invito del Think Tank Ambrosetti, per discutere delle opportunità commerciali e industriali aperte dalla Via della Seta e dagli scambi con l’Eurasia.

Che l’evento non fosse una iniziativa spot, ma è parte di un tassello strategico preciso e chiaro dopo la firma del Memorandum tra il governo italiano e la Cina, lo si comprende dal patrocinio del Ministero degli Esteri, e dal supporto di Sace e Cassa Depositi e Prestiti (il viceministro del Mit Giancarlo Cancelleri a Trieste ha elogiato il coraggio italiano per questa decisione strategica). La scelta di promuovere la terza edizione del Forum, dopo le precedenti iniziative di Venezia e Shenzen, conferma la naturale posizione di Trieste all’interno del crocevia naturale storico ed economico tra l’Europa Mediterraneo, quella centrale e l’Oriente, ed evidenzia il forte posizionamento dell’hub giuliano nel sistema europeo della portualità.

Il porto di Trieste, infatti, è la piattaforma più importante di collegamento con i porti del Nord Europa. La Cina, peraltro, già possiede i porti di Valencia, Bilbao, Bur Said, Alessandria, Haifa, Gibuti, e ha partecipazioni significative a Rotterdam e Suez.

La scelta di Trieste da parte del gruppo cinese China Communication Construction Company spiega meglio di qualsiasi altri esempio cosa significa fare business nel sistema globale. La globalizzazione, si sa, non è paziente, e la Cina non ha tempo da perdere per superare ad esempio il problema dell’ultimo miglio ferroviario a Gioia Tauro, nonostante le opportunità della Zona Economica Speciale. Meglio puntare al Nord, ed entrare all’interno dei Corridoi Europei con i quali inevitabilmente la Nuova Via della Seta dovrà connettersi, creando di fatto un’unica grande piattaforma dalla Cina all’Europa.

Ha ragione Giulio Sapelli quando mette in guardia l’Italia dall’abbandono dell’Atlantismo e teme i risvolti della pericolosa alleanza italiana con la Cina e della deindustrializzazione del nostro Paese (il caso Ilva è solo l’ultima propaggine di almeno trent’anni di sbagliati investimenti e scelte manageriali discutibili che hanno fortemente ridimensionato il know how dell’industria italiana), alle prese con una progressiva perdita di sovranità economica e industriale.

E a Trieste la conferma di quanto il disimpegno Usa e la debolezza politica dell’Europa stiano modificando gli equilibri geopolitici, è stata acclarata dalla presenza dei rappresentanti diplomatici del Marocco e della Turchia, interessati non solo ad entrare nel business della Nuova Via della Seta ma a costruire relazioni stabili con la Cina. L’attenzione dei due Paesi offre infatti una lettura ulteriore della strategia cinese di penetrazione in Africa ed Europa, dove si stanno aprendo degli spazi e delle opportunità che solo la Cina sta interpretando, capace come è di raccogliere ed elaborare i nuovi impulsi provenienti da un sistema economico globale (l’Africa per prima) che chiede protezione all’interno di una grande rete certificata. E chi controlla le reti e le piattaforme (Amazon ce lo insegna) vince e impone la sua cultura.

La Cina ha realizzato in Algeria e in Tunisia un milione di alloggi popolari, imponendo anche nel Nord Africa il suo concetto di soft power. La Turchia, Paese Nato dal 1952, ha compreso da tempo che il suo tutore, gli Stati Uniti, sta abdicando alla funzione di garante della fragile desistenza dei Paesi in Medio Oriente, e inevitabilmente si riposiziona interloquendo con il moderno Leviatano. L’aggressione della Turchia ai curdi, peraltro, ha riacceso il dibattito sull’opportunità di mantenere la Turchia nella Nato, opportunità che era stata fortemente già messa in discussione la scorsa estate quando Ankara ha ricevuto il primo carico di batterie missilistiche russe di difesa anti-aerea, che saranno operative dall’aprile del prossimo anno. Washington aveva avvertito con chiarezza che la partecipazione turca al programma degli F-35 americani, i cacciabombardieri stealth dell’ultima generazione, è incompatibile con l’acquisto degli S-400. Il 18 luglio l’esclusione dal programma è stata formalizzata. La Nato è finora, faticosamente, riuscita a tenersi fuori dalla controversia relegandola al piano bilaterale turco-americano. Quando lo spiegamento delle batterie, con l’assistenza e la presenza di tecnici russi, sarà operativo, la questione esploderà.

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