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Lega nel Ppe. Il sogno segreto di Berlusconi (che piace poco a Daul)

Chi legge nella disponibilità di Silvio Berlusconi nei confronti di Matteo Salvini una resa incondizionata alla ricetta sovranista rischia di prendere una cantonata. I rapporti di forza ormai parlano da sé. Non c’è guizzo d’orgoglio fra gli azzurri che possa nascondere la realtà: la Lega ha il quintuplo dei voti di Forza Italia, è e sarà a lungo l’asse portante del centrodestra. Nessuno vuol far finta di nulla. Neanche il cavaliere, che infatti alla manifestazione unitaria in piazza San Giovanni a Roma è parso consegnare il testimone una volta per tutte al leader leghista, non senza qualche mal di pancia fra la schiera degli indignados liberali e anti-sovranisti rimasti a casa.

Che Berlusconi si sia rassegnato ad accettare la leadership di Salvini è ormai chiaro. Qualcuno vede nell’ “Altra Italia”, la nuova formazione che il patron di Mediaset vuole affiancare al suo partito, uno scivolo per facilitare il trapasso all’era leghista andando a pescare voti lì dove il Carroccio fatica di più, fra i moderati. Altri invece una ciambella di salvataggio per nuotare verso Matteo Renzi qualora fosse messo alle corde (ad esempio di fronte a una legge elettorale inaccettabile). In un caso e nell’altro l’ex premier non ha alcuna intenzione di uscire di scena. C’è infatti ancora una carta che può giocare per rivendicare di fronte a Salvini un ruolo da protagonista e far sbiadire i magri sondaggi elettorali. Si chiama Ppe (Partito popolare europeo), e comincia a far gola dalle parti di via Bellerio.

La Lega domina in Italia ma arranca in Europa. A poco serve la grassa pattuglia di ventinove parlamentari entrata nell’Europarlamento a maggio se non ha amici e alleati con cui lavorare, e contare. L’elezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Ue lo scorso luglio ha ben fotografato il dramma dei leghisti, che hanno fatto irruzione a Strasburgo ebbri del successo alle urne e sono stati costretti ad accomodarsi nel cantuccio dei sovranisti. Con i compagni di viaggio del neonato gruppo Identità e Democrazia come Le Pen (Rassemblement National), Farage (Brexit Party), Gauland (Afd), la Lega a Strasburgo può contare su una formazione di 73 europarlamentari. È solo la quinta per dimensioni.

Una via di fuga c’è: entrare nel Ppe, la più potente e numerosa famiglia politica europea. L’idea non è fantascienza, e infatti il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, l’aveva lanciata quest’estate in tv. Certo, nessun leghista si azzarderebbe oggi ad andare dal partito di Angela Merkel e della von der Leyen col cappello in mano. Serve un mediatore, e Berlusconi è convinto di essere la persona giusta. Da ex presidente del Consiglio con un lungo trascorso da leader mondiale, vanta una rete di rapporti internazionali non indifferente ed è tenuto in gran conto dai suoi colleghi del Ppe. Chi lo conosce racconta di un nuovo pallino del fondatore di Forza Italia: intestarsi l’entrata della Lega sovranista nella famiglia popolare. Dopotutto, è il ragionamento, se il Ppe riesce a convivere con l’irruente premier magiaro Viktòr Orban, che di popolare ha ben poco, può anche trovare un modus vivendi con Salvini. Ufficialmente Berlusconi smentisce, “i tempi non sono maturi”, ma i contatti sono stati già avviati.

L’operazione ha i suoi rischi. Lo stesso Joseph Daul, presidente del Ppe, confidava qualche giorno fa a due colleghi italiani i suoi dubbi sulla buona riuscita. Il partito ha capito che una fetta consistente dei popolari italiani vota Salvini e vuole farci i conti. Teme però che un ingresso dei leghisti sposti troppo a destra il baricentro della formazione, con tutte le conseguenze del caso. Sul nome del leader leghista pesano inoltre i pessimi rapporti personali, mentre con Giorgetti un dialogo si può aprire, “è una persona stimata a Bruxelles”.

Esitazioni reciproche. Anche in casa Lega la prudenza regna sovrana. Desta sospetti l’operazione di Berlusconi, con cui Salvini non vuole essere in debito, tanto meno ora che ha preso in mano le chiavi di casa del centrodestra. Se dovrà andare in porto, meglio che sia gestita direttamente da via Bellerio, magari preceduta da qualche segnale di fumo. Meno boutades di politica estera (soprattutto quelle filorusse), meno insulti alle istituzioni Ue e ammiccamenti alle vecchie battaglie no-euro.

Il dossier resta comunque in cima all’agenda. Fra meno di un mese, in ritardo, l’Europarlamento dovrà dare la fiducia alla Commissione von der Leyen. Un’altra istantanea che immortalerà la pattuglia leghista isolata. Quanto ancora può durare?

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