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Washington mostra i muscoli nei cieli norvegesi. Il messaggio a Russia (e non solo)

That’s what we call #airpower!“, questo è ciò che chiamiamo potenza aerea, twitta l’account dell’Air Force statunitense che copre Europa e Africa (e assetti Nato) per condividere alcune foto di un’esercitazione dall’elevato valore strategico con cui tre B-52 hanno sorvolato il Mare di Barents. Decollate da Fairford, nel Regno Unito, le Fortezze volanti, bombardieri strategici a capacità nucleare, sono state raggiunte dagli F-16 norvegesi.

Integrazione e interoperabilità per migliorare la stabilità e la sicurezza globali, consentendo allo stesso tempo alle unità di acquisire familiarità con l’area di responsabilità. È questa la descrizione che il Pentagono fornisce dell’esercitazione, ma il valore va ben oltre. Nelle ultime settimane ce ne sono state diverse di queste operazioni, condotte all’interno di varie regioni del mondo. Un evidente obiettivo per riaffermare la superiorità militare americana a livello globale. Attività dal valore fortemente politico tanto quanto militare, perché tutte focalizzate in quadranti caldi.

I tre B-52 hanno sorvolato un tratto di mare dal valore nevralgico, per esempio. L’Artico, di cui Barents è il tratto meridionale sopra alla Norvegia, è diventato un territorio d’interesse acceso da parte di potenze come Russia (lo è da sempre in realtà) e Cina. Ha valore per le risorse; ha estremo valore per i traffici commerciali, perché con lo scioglimento dei ghiacci in futuro le linee di navigazioni saranno più agevoli. Di recente quella striscia di mare è stata probabilmente attraversata dalla rotta che una flottiglia di sottomarini russi ha seguito per scendere fino all’Atlantico settentrionale. Un’attività di esercitazione con cui il Cremlino ha mostrato i muscoli all’interno del cuore geografico del link transatlantico.

Inviare quel trio di bombardieri decollati da una base inglese per compiere il passaggio aereo insieme ai caccia norvegesi è evidentemente il modo per dimostrare che gli Usa, e la Nato, ci sono (malizia: è anche un messaggio che il Pentagono manda a uso interno alla Casa Bianca trumpiana, che crede relativamente a questo genere di proiezioni internazionali). Qualcosa di molto simile è successo a fine ottobre.

Due bombardieri decollati dal South Dakota si sono uniti ad altri aerei sopra al Golfo, un’area in cui gli americani fronteggiano le minacce iraniane – questione di sicurezza, più che altro – ma in cui sentono la pressione della competizione russa e cinese; aspetto che invece diventa un rischio per la strategia. Negli stessi giorni, due B-52 decollati da Guam hanno condotto esercitazioni insieme agli F-15 giapponesi tra il Mar del Giappone e il Mar Cinese Orientale. Ossia davanti alla Corea del Nord e alla Cina: i primi usano il tratto di mare che divide la penisola dall’isola nipponica come posacenere per i vari test missilistici, gli altri rivendicano la sovranità sull’area del Mar Cinese e lo vedono come un elemento da cui forzare le proprie ambizioni da potenza globale.

Questo tipo di esercitazioni in cui grandi bombardieri (in grado di compiere pesanti attacchi al suolo) incrociano nei cieli altri assetti di altre forze aeree, partendo da punti di decollo diversi, sono un elemento di enorme qualità. Servono a dimostrare le capacità di Stati Uniti e alleati, non solo in termini di forza, ma anche di prontezza e profondità operativa. Diventano argomento di deterrenza generale, perché mandano un messaggio netto: nessuno come gli Usa e le realtà alleate – che siano la Nato o il Giappone o i paesi del Golfo – ha questo genere di potenze e potenzialità d’azione. Un punto in più nella micidiale corsa alla vetta del mondo tra blocchi contrapposti.

(Foto: Twitter, @HQUSAFEPA)

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