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Libia e non solo. Ecco cosa hanno detto gli 007 dell’Aise al Copasir

C’è un lavoro sotterraneo nella crisi libica che spesso passa inosservato, lontano dai riflettori della polemica politica che un giorno si arroventa su una soluzione, il giorno dopo su quella opposta. È il lavoro dell’intelligence italiana, che conosce bene la Libia e non da ieri. In queste settimane in prima linea nelle non facili trattative per fermare gli scontri armati alle porte di Tripoli tra l’Esercito di liberazione nazionale (Lna) del generale Khalifa Haftar e le forze del governo riconosciuto dall’Onu del premier Fayez al Serraj si è mossa l’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna).

L’AUDIZIONE DI CARTA AL COPASIR

Non è un caso dunque che il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) sia partito nel suo breve ciclo di audizioni sul dossier nordafricano e mediorientale proprio dal direttore dell’agenzia Luciano Carta. Generale di Corpo d’Armata della Guardia di Finanza, Carta è stato posto a capo dell’Aise dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel novembre del 2018 dopo una lunga carriera nelle fiamme gialle. Il comitato bipartisan di raccordo fra Parlamento, governo e Servizi presieduto dal leghista Raffaele Volpi ha ascoltato martedì mattina Carta per una panoramica sulla situazione in Libia e sulla presenza italiana nella regione mediorientale, soprattutto in Iraq, dove l’Italia ha circa 900 militari, a due settimane dall’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani da parte di un drone americano.

IL RUOLO NEI VERTICI A ROMA

Il primo focus ha acceso i riflettori sull’escalation in corso nel Paese nordafricano e sulle carte che l’Italia può oggi giocare per fermare le ostilità e difendere i suoi (non pochi) interessi nazionali sul territorio. Carta in questi giorni ha seguito da vicino il dossier. L’Aise prepara puntualmente, sia sotto il profilo logistico che sotto quello della sicurezza, le visite di ministri, funzionari e agenti italiani in Libia. Lui stesso era a fianco di Conte durante il faccia a faccia con Haftar a palazzo Chigi. E lui si è speso in prima persona per recuperare il rumoroso forfait di Serraj a Roma, inizialmente risentito dell’invito al Feldmaresciallo ed arci-nemico e infine riscortato da una macchina dell’Aise a piazza Colonna sabato scorso.

L’OPZIONE ONU È SUL TAVOLO

Da Palazzo San Macuto emerge che l’Aise considera un’opzione sul tavolo la missione Onu in Libia evocata dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio in un’intervista al Corriere della Sera. Il titolare della Farnesina ha avanzato la proposta di una spedizione di caschi blu cui l’Italia potrebbe partecipare sul modello della missione Unifil in Libano, che vede schierati circa 1100 militari italiani. Il piano di una forza di interposizione in Libia sarebbe quindi preso molto seriamente dagli 007, che avrebbero assicurato che ci sono le condizioni di sicurezza sul campo, grazie a un lavoro di preparazione che va avanti da mesi. Ovviamente i vertici di Forte Braschi sanno che per una simile missione serve l’ok del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e quindi un semaforo verde non proprio scontato da parte di Russia e Cina. L’alternativa, meno efficace, è quella della già evocata missione europea, che dovrebbe necessariamente assumere la forma di un accordo bilaterale con entrambi gli attori in campo.

IL NODO DEL SAHEL

Sullo sfondo scorre la discussione avviata dal ministero della Difesa per un riorientamento degli impegni militari nella regione nordafricana e in particolare nella fascia del Sahel, un’area vasta quanto l’Europa e destabilizzata da dozzine di organizzazioni terroristiche, da Boko Haram allo Stato islamico nel Grande Sahara (Eigs). Questo martedì il presidente francese Emmanuel Macron ha riunito sui Pirenei francesi i presidenti dei Paesi del G5 Sahel (Ciad, Niger, Burkina Faso, Mali, Mauritania) per discutere della missione anti-terrorismo Barkhane assieme al segretario generale dell’Onu Antonio Gutierres, il presidente dell’Unione Africana Moussa Faki e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Su questo fronte Parigi ha chiesto l’aiuto degli alleati europei, Italia compresa.

L’ENI E L’ENERGIA ITALIANA

Non solo Libia. Anche le altre turbolenze che attraversano l’area Mena e il Medio Oriente sono all’attenzione dell’intelligence e del governo italiano. Anche perché toccano da vicino un fronte, quello energetico, che vede l’Italia in prima linea. È il caso dell’Eni, il campione nazionale dell’energia che è in Libia dal 1959 e in Iraq dal 2009. Sotto stretta osservazione c’è Eastmed, il gasdotto al largo di Cipro e diretto in Puglia, ad Otranto, che il direttore delle Relazioni Internazionali di Eni Lapo Pistelli ha recentemente definito “un vero e proprio punto di forza” della regione, ma anche il giacimento di gas Zohr a largo dell’Egitto, fiore all’occhiello del cane a sei teste da 850 miliardi di metri cubi.

Il progetto Eastmed fra Cipro, Grecia e Israele vede l’Italia alla finestra con la joint-venture Isi-Poseidon fra l’italiana Edison e la greca Depa, Saipem e Snam. Molto però dipende dal dossier libico, e dai rapporti con la Turchia di Erdogan, che del gasdotto non è certo entusiasta. Senza contare lo stretto di Hormuz, attraverso cui passano rifornimenti energetici diretti anche in Italia, e che è esposto alla pirateria e ai sabotaggi delle milizie sciite. “La crisi libica è una priorità, ma il quadro è più ampio – spiega a Formiche.net il vicepresidente del Copasir e senatore di Fdi Adolfo Urso – tutta l’area mediterranea, compreso il Golfo Persico, è per noi fondamentale, i nostri rifornimenti energetici sono sottoposti a diverse minacce, interferenze, guerre civili che richiedono una risposta italiana ma anche europea”.

IL CONCERTO EUROPEO

Quale che sia la cornice legale, c’è la consapevolezza, corroborata dai continui fallimenti delle tregue sponsorizzate dagli Stati “protettori” di Serraj e Haftar, l’ultimo a Mosca questo lunedì, che i Paesi europei debbano muoversi di concerto e a una voce sola. Sarebbe questa una soluzione nell’interesse italiano, anche per riallacciare i rapporti (deteriorati) con un attore imprescindibile in Libia come la Francia. Parigi sembra aver realizzato che anche in caso di una vittoria sul campo del suo protetto Haftar non sarebbe l’Eliseo a prendersi i dividendi ma altri al suo posto, come Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Quanto alla Germania, finora poco proattiva nelle dinamiche libiche, è in corso un’opera di convincimento da parte della Farnesina per spingere il governo tedesco a dare il suo contributo alla mediazione. Anche perché non sfugge a chi lavora nel mondo della sicurezza che buona parte del terrorismo salafita infiltrato nei flussi migratori illegali non abbia nel mirino lo Stivale. Ci sono quindi le condizioni politiche per la messa in piedi di un’operazione diplomatica europea.

C’È ANCHE L’IRAQ

Anche in Iraq, altro tema in cima all’agenda di politica estera del governo, l’Aise ha ricoperto e sta ricoprendo un ruolo di apripista per i diplomatici in concerto con il ministero della Difesa. L’Italia ha nel Paese circa 900 soldati, divisi fra il presidio della diga di Mosul e le basi di Baghdad ed Erbil. Sulla loro presenza c’è piena convergenza con quanto annunciato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che per il momento ha assicurato la permanenza delle truppe all’interno della Coalizione anti-Daesh per addestrare le forze irachene (finché non giunga una decisione del governo iracheno in direzione opposta). L’Italia non è comunque intenzionata a fare “un fallo di reazione” nei confronti degli Stati Uniti.

Questo mercoledì sarà il turno di Conte, che sulle stesse tematiche sarà chiamato a rispondere sia nella veste di vertice dei Servizi che in quella di capo del governo. Vista la posta in gioco, c’è da scommettere che non sarà una audizione ordinaria.

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