Nelle prossime settimane almeno una unità della Marina salperà verso il Golfo Persico per prendere parte alla missione europea per la sicurezza di quelle acque nevralgiche per il traffico del petrolio (e dunque per il mercato energetico, e più in generale per l’economia globale).
La missione si chiamerà “Emasoh” (acronimo di European-led maritime surveillance mission in the Strait of Hormuz) e sarà capitanata dalla Francia, che userà come hub una base della Marine Nationale negli Emirati Arabi; la nave ammiraglia, la fregata francese “Courbet” è già in zona. È stata Parigi a prendersi l’impegno di costruire una colazione in ambiente europeo per rispondere alla richiesta americana di ridistribuire il carico della sicurezza del Golfo tra gli alleati (e non solo: Donald Trump per esempio l’ha chiesto esplicitamente, via Twitter, anche alla Cina, il primo consumatore del petrolio regionale).
Motivo dello schieramento: controllare che le rotte restino sicure dopo che la scorsa estate erano diventate un teatro di sfogo per le intemperanze con cui i Pasdaran hanno risposto — un anno dopo — all’uscita statunitense dall’accordo sul nucleare Jcpoa. Una serie di sabotaggi e azioni di disturbo che avevano visto protagoniste alcune petroliere mentre solcavano lo stretto di Hormuz, strozzatura del Golfo tra Iran e Oman/Emirati.
Tempo che il Parlamento esaminerà il decreto per finanziare le missioni all’estero e lo schieramento italiano sarà operativo. Per ora non si conoscono gli assetti, potrebbero essere anche di più le unità: forse due o tre, difficile però pensare a un’operatività così elevata. La Francia ha inviato una fregata, probabilissimo che comunque dall’Italia arrivi una pari ruolo. Forse qualche mezzo di supporto.
Si sanno con certezza invece i nomi dei partner: oltre alla Francia ci saranno Germania, Belgio, Olanda e Danimarca, l’allineamento del Nord; poi la Grecia, nuovo attivissimo partner francese e statunitense nell’area del Mediterraneo (soprattutto orientale, ma anche nel quadro allargato); infine il Portogallo.
Nel quadrante c’è già una missione analoga americana, “Sentinel”, a cui partecipano Regno Unito, Australia, e alcuni paesi del Golfo. Poi c’è un dispiegamento giapponese, in pieno coordinamento con gli americani, ma presente in via formalmente indipendente. Poi navi cinesi e russe: i rivali che vogliono sostituire gli Usa in vari quadranti non potevano mancare e un paio di mesi fa erano impegnati insieme agli iraniani in esercitazioni tra Hormuz, il Golfo dell’Oman e l’Oceano Indiano.
Quest’estate gli europei erano stati invitati da Washington per un’operazione congiunta (quella poi diventata Sentinel), ma Bruxelles aveva rifiutato perché temeva che l’allineamento diretto con gli americani potesse essere malvisto a Teheran. L’Ue in effetti avrebbe ancora intenzione di preservare l’accordo sul nucleare, sebbene non riesca a fornire garanzie all’Iran da quando gli Usa l’hanno abbandonato (queste differenze di visioni sono uno degli elementi su cui i rapporti transatlantici si sono incrinati durante la presidenza Trump).
La missione su Hormuz ha l’avallo della Commisione, ma non è sostenuta da tutti i ventisette, dunque — per forma, che in certi casi diventa anche sostanza — è esterna all’Ue. Tant’è che, sebbene il coordinamento sia congiunto (via Francia), ogni nave avrà la possibilità di rispettare regole d’ingaggio nazionali. Per esempio, il ministro della Difesa, il dem Lorenzo Guerini, annunciando che Roma stava accettando nelle scorse settimane, aveva affrontato l’argomento con la massima delicatezza visti i precari equilibri del governo. Poi l’ex leader grillino Luigi Di Maio, dalla Farnesina, aveva messo la firma italiana al documento di intenti durante una ministeriale Esteri con gli altri otto alleati.
Il ruolo sarà quello di monitorare direttamente la situazione e di evitare un’escalation che per ora è stata schivata anche grazie a una gestione attenta di certi follow up da parte dei governi di Washington e Teheran. Ma che visto il clima precedente e visti gli interessi che i Pasdaran hanno nel mantenere alta la possibilità di ingaggio, non si può ancora considerare del tutto protetta.