Secondo le informazioni ottenute da Formiche.net, già oggi il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, avrebbe avuto un colloquio telefonico col vicepremier libico, Ahmed Maiteeg, per riprendere il discorso a proposito dell’ospedale militare di Misurata. La conversazione in programma per “i prossimi giorni” era stata annunciata giovedì dallo stesso leader grillino durante un’audizione alle commissioni Esteri di Camera e Senato. In quell’occasione, Di Maio aveva spiegato che “c’è già la volontà e stiamo lavorando su una richiesta del governo libico di potenziare l’ospedale per aiutare il popolo libico in ottica Covid”. L’argomento è stato portato all’attenzione mediatica dopo che proprio Maiteeg ne aveva parlato in un’intervista a Repubblica il cui obiettivo – spiegavano fonti interne al Governo di accordo nazionale – era ricostruire i rapporti con l’Italia, dopo una fase di annacquamento.
Uno dei temi sul tavolo era anche l’ospedale, che Roma ha inviato a Misurata (città d’origine di Maiteeg) nel 2016 per assistere i miliziani della città-stato nella vittoriosa cavalcata contro lo Stato islamico libico – che aveva creato nella città centro-orientale di Sirte una roccaforte che era servita come avamposto logistico per attentati in Europa. Da lì l’impianto, attorno a cui ruotano circa trecento militari italiani tra operatori sanitari e unità di difesa e sicurezza, era restato per continuare attività anche sui civili. Da quando il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, ha lanciato la sua offensiva su Tripoli, l’area dell’ospedale – nell’ampio compound dell’aeroporto cittadino – è finita anche diverse volte sotto i bombardamenti del miliziano ribelle.
Haftar considera la presenza italiana come ostile, e vede nei misuratini – difensori politici e militari del governo onusiano di Tripoli – come i principali nemici. L’evoluzione del conflitto, compreso l’attacco d’artiglieria contro l’ambasciata italiana e turca, potrebbero aver ravvivato l’iniziativa italiana (da mesi un po’ spenta anche forse a causa del colpo subito con la pandemia). Roma è un attore che ha sempre cercato di tenere vivo il contatto tra le due regioni, come sta facendo anche adesso, sebbene non direttamente con Haftar, ma usando altri riferimenti nella Cirenaica, spiegano altre fonti. Nel quadro complesso delle attività internazionali e geopolitiche che ruotano attorno alla Libia, contemporaneamente al rinnovato slancio italiano c’è da sottolineare un’altra telefonata.
Giovedì il presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, ha avuto un colloqui telefonico con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Discorso ampio tra i due, perché la Turchia sta cercando di sfruttare l’epidemia per recuperare terreno nelle relazioni con l’Alleanza (messe in crisi da scelte aggressive di Erdogan e mosse disallineate come quelle sull’acquisto dei sistemi difensivi S-400 russi). Stoltenberg, nel sottolineare la bontà delle azioni di assistenza che la Turchia ha offerto a vari paesi Nato, ha ricordato che l’organizzazione “è disponibile ad aiutare [la Libia] a ricostruire le sue capacità di difesa e sicurezza e sottolineato il sostegno per una soluzione politica negoziata”, dice la nota.
Erdogan incassa un bonus, frutto anche dell’aperta attività di difesa stretta attraverso un protocollo formale con il governo di Tripoli (novembre 2019). Ruolo complesso, su cui serve una lettura di realismo politico: Erdogan si è messo a disposizione per compiere un lavoro sporco che altri Paesi non hanno intenzione di fare, nemmeno per sostenere un governo che è frutto di un progetto politico negoziato dall’Onu, come quello di Tripoli. Certamente Ankara si è mossa non senza interessi.
Ce ne sono di diretti, come dimostrato oggi stesso: la turca Tpao ha presentato una richiesta per esplorazioni off shore al largo della Libia. Parte dell’accordo con Tripoli riguarda l’assistenza militare, ma un altro è un memorandum di cooperazione tratta della fusione delle Zone economiche esclusive. La partita è articolata: la Turchia è tagliata fuori da un sistema di relazioni internazionali che ruota attorno a un gasdotto – che attualmente sembra irrealizzabile – che dovrebbe tagliare l’area orientale del Mediterraneo, East Med.
Sono gli stessi Paesi, Cipro, Grecia, Egitto, e poi c’è la Francia e gli Emirati Arabi come esterni fortemente interessati: gli stessi attori hanno firmato recentemente una dichiarazione di condanna contro le attività turche in Libia, perché da diversi mesi – sostanzialmente da quando Ankara ha preso nettamente le difese del governo di Tripoli – i due dossier si sono sovrapposti. Poi tra gli interessati esterni, come fa notare l’analista Marco Florian su Facebook, potrebbe esserci anche la Russia, partner haftariano, che potrebbe vedere nelle potenzialità energetiche libiche che la Turchia intende sfruttare un possibile deperimento strategico sulle dipendenze europee dal gas di Mosca.
Se il gas libico “fosse confermato in quantità ed economicità, potrebbe diventare il feeder di una nuova pipeline Libia/Italia/Europa”, a gennaio infatti Tpao ha proposto all’Eni uno sfruttamento congiunto che non è stato accettato per “motivi di opportunità e legalità”, ma se la Libia dovesse essere pacificata le cose potrebbero cambiare. Eni è già molto attiva nell’area East Med, con quote di partecipazione importanti su pozzi davanti all’Egitto (Zohr e Noor).
Il ruolo della Russia è un altro degli elementi delicati di quella che è diventa una guerra per procura, con vari sovrapposizioni, come quella tra Mosca e Washington. L’arrivo in Libia di miliziani siriani mobilitati dai russi, elementi dei gruppi sciiti assadisti, anche quelli connessi all’Iran, sono la preoccupazione per gli Stati Uniti, che secondo quanto detto dall’esperto di questioni libiche Daniele Ruvinetti ad Affari Internazionali, potrebbe portare a “una svolta, seppur graduale” nell’interessamento americano al conflitto. Tutto si lega alla “mancanza di manodopera bellica”, aggiunge Ruvinetti: Haftar si trova in difficoltà, ha perso territorio e ha perso smalto tra i libici della Cirenaica, aveva spiegato a Formiche.net nei giorni in cui il miliziano dell’Est aveva perso ampie fette di territorio attorno a Tripoli. Per questo sta ricevendo rinforzi.
Come già dimostrato nei mesi finali del 2019, quando uscirono notizie di stampa sulla presenza di mercenari russi sul fronte haftariano (una dislocazione non nuova), Washington potrebbe prendere una linea più coinvolta sulla Libia in funzione di contenimento russo; la cosa potrebbe ripetersi adesso, con la questione che è tornata attuale dopo un report delle Nazioni Unite sulla presenza dei soldati-privati russi e l’afflusso di rinforzi dietro Haftar. La Turchia in questo ha un ruolo di bilanciamento. Gli Stati Uniti non tollerano la presenza russa perché temo una sirizzazione del conflitto, e anche Israele ha iniziato a mostrare nervosismo per il flusso in Libia di miliziani dei gruppi filo-iraniani siriani. L’Italia ha la possibilità di sfruttare un allineamento che vede anche Ankara cercare di ricostruire i rapporti con Gerusalemme, sempre instabili e ultimamente guastatosi dalle dinamiche su East Med.
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