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Putin si arrocca e stringe i ranghi sul caso Navalny

I parlamentari russi approvano rapidamente un nuovo disegno di legge per serrare le informazioni sui servizi di sicurezza. Il Cremlino è in subbuglio per le rivelazioni scabrose sul caso Navalny. Contro Putin ci sono accuse gravi, mentre il suo potere sembra meno solido, e si arrocca in attesa di un’impunità

La Russia stringe i ranghi sulla sicurezza interna, sintomo che qualcosa non va. La Duma ha votato ieri un disegno di legge per vietare la diffusione pubblica di dati su intelligence e membri delle forze dell’ordine. Mossa per tappare in fretta falle sulla struttura che – differentemente dai vanti del presidente Vladimir Putin – fa acqua. Impossibile infatti pensare che dietro all’accelerazione legislativa non ci sia anche quanto successo con Alexei Navalny, leader della lotta anti-corruzione contro il Cremlino, avvelenato in agosto in una missione che sembra sempre più concretamente ordinata dagli alti vertici del governo russo. Operazione in cui gli agenti dell’Fsb non solo hanno fallito, ma uno di loro ha pure abboccato a una telefonata in cui lo stesso Navalny – fingendosi un superiore dell’intelligence interna – s’è fatto raccontare vari dettagli (tra cui il fallimento della killing mission). Il video è virale su YouTube, pubblicato con sottotitoli in inglese ed è stato possibile grazie al lavoro di una serie di media capitanati da Bellingcat, sito di informazione investigativa che aveva smascherato il team assassino dei servizi non-troppo-segreti russi.

Se tutto procede secondo l’iter previsto, venerdì il disegno di legge passerà in Senato e arriverà sul tavolo del presidente per la firma. Da quel momento, le informazioni che riguardano tutti gli agenti di sicurezza non saranno condivisibili nemmeno se non mettono in pericolo la vita degli stessi. Saranno severissime le pene per chi viola le nuove regole, che fanno parte di una legislazione più ampia in progetto prima delle parlamentari del 2021: in previsione c’è la repressione più ampia possibile del dissenso. La repressione è ormai l’attività cruciale per i servizi russi, che si occupano di pedinare i dissidenti – lo facevano anche con Navalny – e rendergli la vita un inferno. E non sono mancati casi gravi, ci sono stati giornalisti morti in circostanze sospette, c’è questo che riguarda l’attivista più famoso dell’opposizione politica a Putin, c’è il caso Skripal (il tentato assassinio, sempre per avvelenamento, di un ex agente dell’intelligence militare che collaborava con gli inglesi). Poi ci sono le attività online, intrusioni e hacking. Poi ci sono le operazioni del Gru, che è il servizio segreto militare che ha per esempio guidato l’invasione della Crimea.

La Russia è protagonista di fatti gravissimi, Putin resta in cima alla lista dei cattivi, eppure l’Occidente continua a considerarlo come un attore con cui negoziare e trattare – perché è un politico abile, capace di comprendere in anticipo le dinamiche internazionali, e molto spesso riesce a prendere vantaggio su fronti di crisi in cui Usa e Ue si muovono in modo indeciso (vedere la Siria, oppure la Libia). E riesce a spaventare: per questo Putin – professionista dell’intelligence – accetta che i suoi uomini compiano anche errori grossolani, si muovano anche pesantemente e magari creino scandalo. Perché alla fine il risultato c’è: anche se non sono morti le vicende di Skripal e Navalny (e quelle d’altri prima di loro) ricordano a chi si oppone al potere di Mosca che la cleptocrazia si sta chiudendo. Sta serrando i ranghi e diventa ancora più aggressiva – e forse è anche questo sintomo della stanchezza, dell’incapacità di trovare un futuro al puntinismo che non sia un presidente a vita. L’uomo forte è stato in grado di creare un modello che ha attirato anche parti di Occidente, cosa ne sarà della Russia dopo di lui è difficile da dirsi. Intanto, mentre oltre 15 milioni di persone nel mondo hanno visto il video di Navalny che smaschera uno del team dei suoi killer, il Cremlino però è nervoso.

Il Palazzo della Lubjanka è in subbuglio, stando alle spifferate rischiose che arrivano ai media; il Cremlino cerca di trovare una via per recuperare. E non può essere che una posizione aggressiva. Il ministero degli Esteri ha convocato rapidamente gli ambasciatori di Francia, Germania e Svezia, per annunciare che la Russia sanzionerà coloro che nei tre paesi hanno condotto analisi su Navalny – sono quelle che hanno scoperto il Novichok, di cui Mosca ne nega l’esistenza e sceglie invece la punizione per diffamazione. Ufficialmente il Cremlino non riconosce neanche la veridicità della telefonata in cui Navalny s’è fatto raccontare la storia del suo assassinio: dice che è una messa in scena dei servizi segreti occidentali, ma l’uomo con cui ha parlato l’attivista – Kostantin Kudryavtsev – è un quarantenne esperto di armi chimiche e biologiche che di lavoro fa l’agente dell’Fsb. Il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, dice che Navalny soffre di “manie di persecuzione”. Mosca in difficoltà si arrocca sulla linea anche perché è consapevole di essere troppo grande per restare del tutto isolata: quando ci sarà occasione Putin passerà impunito ancora una volta, anche perché si colgono indizi di stanchezza sul suo potere.


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