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Non ci sono più i responsabili di una volta. Il borsino della crisi tra dubbi e certezze

Il borsino della giornata di oggi  fa segnare un punto, o forse qualcosina di più, contro l’ipotesi che stiano per materializzarsi a sostegno di Giuseppe Conte i tanto cercati responsabili. La corsa a sfilarsi e i dubbi del Pd, mentre Italia Viva scommette sulla mancanza dei numeri e sulla ripartenza del dialogo

Il vento è cambiato, ancora una volta. Il borsino della giornata di oggi – la quarta dall’inizio ufficiale della crisi dopo la conferenza stampa di Matteo Renzi, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti – fa segnare un punto, o forse qualcosina di più, contro l’ipotesi che stiano per materializzarsi a sostegno di Giuseppe Conte i tanto cercati responsabili. O, almeno, così sembrerebbe dalle notizie e dichiarazioni di giornata e dalle voci che si levano da tutte le forze politiche. Una chiara inversione di tendenza rispetto a ieri quando la maggioranza degli osservatori e degli addetti ai lavori lasciava trapelare che il presidente del Consiglio avrebbe agevolmente trovato i numeri necessari al Senato.

Di sicuro possiamo iniziare con il dire che l’Udc di Lorenzo Cesa si è ufficialmente sfilata dalla partita. “Non ci prestiamo a giochi di Palazzo e stiamo nel centrodestra: i nostri valori non sono in vendita”, ha affermato il segretario del partito scudocrociato che addirittura, secondo i retroscena dei giornali di stamattina, avrebbe dovuto portare in dote a Conte il simbolo e la storia dell’ex Balena bianca. Ma così non dovrebbe essere, sempreché i tre senatori Udc – Paola Binetti, Antonio De Poli e Antonio Saccone – si attengano alla linea indicata dalla segreteria. E lo stesso vale pure per Cambiamo di Giovanni Toti, altra forza politica che i rumors degli ultimi giorni accreditavano di un possibile soccorso al presidente del Consiglio e all’esecutivo. “I senatori che fanno riferimento al gruppo di Cambiamo sono fermamente convinti che il Conte ter non sia una alternativa credibile per il Paese”, ha sottolineato il presidente della Regione Liguria che nel pomeriggio ha partecipato al vertice del centrodestra a Milano. Presenti, di persona o in video-conferenza, tutti i leader, da Matteo Salvini a Silvio Berlusconi, da Giorgia Meloni ad Antonio Tajani, per arrivare a Maurizio Lupi e allo stesso Cesa.

L’ennesimo tentativo di dimostrare compattezza in questa fase di caccia ai responsabili da parte delle forze di maggioranza, come a dire che Conte dovrà andare a trovarseli da qualche altra parte. Già, ma dove? Lo smottamento auspicato del gruppo di Italia Viva al Senato, al momento, non c’è ancora stato e non è affatto detto che ci sia. “La verità è che i numeri per far decollare l’operazione costruttori al momento non ci sono”, affermano in molti. Certo, non è escluso che possano palesarsi nel frattempo – tre giorni in questa fase sono un’eternità – ma insomma la strada non appare affatto in discesa. Anche se poi oggi Matteo Renzi ha ricevuto la notizia di un’importante, ma in fin dei conti irrilevante sotto il profilo dei conteggi, defezione alla Camera: quella di Vito De Filippo che ha annunciato la sua decisione di rientrare nel Pd.

Nell’altro fronte, comunque, non è che le cose vadano bene, come dimostrano le parole pronunciate nel pomeriggio da Clemente Mastella (qui la cronaca del suo scontro di oggi con Carlo Calenda) : “Non sono né pilastro, né costruttore, su questa crisi sono molto diffidente. Al momento mi chiamo fuori perché, dopo aver cercato di dare consigli su come risolvere la crisi, sono stato attaccato sul personale. All’orizzonte vedo più un Conte ter con un rimpasto e un rientro di Italia viva che un governo Conte sostenuto da un’altra maggioranza con l’ingresso di responsabili”. Dichiarazioni che non seppelliscono il tentativo ma che di sicuro ne confermano la complessità e l’esito tutt’altro che scontato. E che peraltro ci dicono molto delle difficoltà di portare avanti una trattativa tanto complicata, in un quadro politico così frastagliato e, peraltro, in pochissimi giorni.

Anche perché, nel frattempo, anche i dirigenti del Partito democratico avrebbero iniziato a considerare tutti i rischi di un’operazione del genere. Sia in un senso che nell’altro. Ovvero, se per ipotesi Conte ottenesse martedì al Senato numeri striminziti, comunque inferiori alla fatidica soglia dei 161 necessaria a raggiungere la maggioranza assoluta, il governo risulterebbe più che mai in balia della tempesta. Se invece, al contrario, i responsabili fossero così numerosi da giustificare la costruzione di un ampio gruppo al Senato, il primo seme del prossimo probabile o eventuale partito del premier, allora i dem si ritroverebbero comunque con un problema. Quello di un presidente del Consiglio ancora più forte e autonomo nel guidare questo esecutivo e in grado, in prospettiva, pure di sottrargli numerosi voti alle prossime elezioni politiche, come gli ultimi sondaggi confermerebbero. Insomma, Conte sì, ma senza esagerare. Senza arrivare al punto di trovarsene completamente prigioniero. Anche perché, va ricordato, i motivi alla base degli attacchi iniziali di Renzi a Conte erano pur sempre fortemente condivisi dal Pd, che invece non ha poi gradito i tempi e i modi dell’iniziativa del leader di Italia viva. Senza contare anche il potenziale danno di immagine derivante dall’adesione a un’operazione trasformistico di questo tipo.

Per tutte queste ragioni l’ipotesi che alla fine la frattura possa ricomporsi non si può affatto escludere. Una soluzione a favore della quale remerebbe la corrente dem Base riformista, quella formata in sostanza dagli ex renziani rimasti nel Pd, che vanta circa una cinquantina di parlamentari tra Camera e Senato. Tra i quali esponenti politici di rilevante influenza dentro l’esecutivo, come il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, e all’interno di Palazzo Madama, ossia il capogruppo Andrea Marcucci. Con questo non vogliamo certo dire che la riappacificazione con Italia Viva sia sicura, ma se ieri appariva impossibile oggi non è più così. D’altronde, Nicola Zingaretti e Goffredo Bettini – che per inciso non sono mai stati anti-renziani militanti come Enrico Letta, Massimo D’Alema o Pierluigi Bersani – rimangono convinti che la politica non debba essere guidata dallo spirito di vendetta e dalle condanne definitive. E lo stesso, in fondo, dovrebbe potersi dire pure per Dario Franceschini, che rappresenta sicuramente uno dei principali sponsor di Conte a Palazzo Chigi ma da cui è difficile credere possa arrivare un veto anti-Renzi. Che invece è molto più complicato cada in casa Cinquestelle. Ma questa è un’altra storia, ancora da scrivere. In attesa del borsino di domani.


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