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Crimea come Taiwan? L’asse anti-Cina di Biden e Zelensky

Dopo tanta attesa e infinite richieste il presidente ucraino Zelensky ha ottenuto una visita alla Casa Bianca. I rapporti non sono ottimali ma Biden vede nella “Piattaforma Crimea” con l’Ucraina un banco di prova per contenere la Cina. L’analisi di Dario Quintavalle

L’attesa visita del Presidente ucraino Volodymir Zelensky a Washington avviene sullo sfondo del disimpegno Usa in Afghanistan, che ha avuto aspetti logisticamente e politicamente devastanti. Questo ha portato molte cancellerie a chiedersi che affidamento fare delle assicurazioni e degli impegni americani. 

Pochi leader sono stati così ansiosi di ottenere un incontro alla Casa Bianca come Zelensky. L’opportunità gli si era già presentata con Donald Trump, ma l’ex presidente sembrava assai meno interessato alla posizione geopolitica dell’Ucraina che alla possibilità di usare Kiev come pedina in un confronto esclusivamente di politica interna degli Stati Uniti. Una scelta che gli è costata l’impeachment. 

A giugno 2021 Zelensky aveva “implorato” Joe Biden di incontrarlo prima del vertice con Putin “in qualsiasi momento e in qualsiasi punto del pianeta”. Biden rispose con un colloquio telefonico con Zelensky, rassicurandolo sull’ incrollabile impegno per la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina” dell’America di fronte all’aggressione russa. In quella conversazione Biden aveva anche concesso il sospirato invito alla Casa Bianca.

Invito che è andato infine in scena questa settimana. Nell’agenda del Presidente Zelensky c’erano alcuni punti chiave: la richiesta di un accordo di cooperazione sulla sicurezza e difesa con gli Stati Uniti, possibilmente inclusivo di assistenza militare con armi letali; una qualche formula equivalente a un Membership Action Plan per la Nato, atteso che le porte a una full membership sono chiuse per l’ostilità degli altri Paesi membri; assicurazioni per il settore energetico nazionale dopo il completamento del Nord Stream 2, il controverso gasdotto che unisce direttamente Russia e Germania, bypassando l’Ucraina; e aiuti sanitari per contrastare la Pandemia di Covid. 

Biden, che aveva parlato quasi con disprezzo dell’Afghanistan definendolo “un Paese che non è disposto a difendere sé stesso” e per il quale dunque non valeva la pena di rischiare altre vite americane, è invece ben consapevole degli sforzi e dei sacrifici che l’Ucraina ha fatto – da sola – per difendere la sua integrità territoriale.   

Da sempre egli raccomanda a Kiev sostanziali riforme per combattere la corruzione e purgare il sistema giudiziario. Ma è probabile che ora il suo tradizionale interesse per la questione ucraina sia stimolato e rafforzato da un sostanziale cambio di prospettiva della politica di quel paese. 

La presidenza Poroshenko, infatti, si concentrò soprattutto nella controinsurrezione in Donbass, non esitando a impegnare le truppe ucraine – regolari e volontarie – in una cruenta guerra per impedire ulteriori tentazioni secessionistiche e per recuperare più territorio possibile. 

La Crimea, già territorio russo ceduto all’Ucraina da Krusciov, occupata e poi annessa dalla Russia nel 2014 con un veloce, magistrale ed incruento colpo di mano, era rimasta sullo sfondo, considerata un fatto compiuto. Impossibile fare guerra aperta alla Russia, ed inoltre ai nazionalisti ucraini poteva non dispiacere che tre milioni di cittadini russofoni o russi fossero stati esclusi dal calcolo elettorale. Nessun ucraino era morto per difendere la Crimea, e perciò il mondo era rimasto a guardare, limitandosi al mero atto giuridico di non riconoscerne l’annessione. 

Con Zelensky la rivendicazione della sovranità sulla Crimea è tornata alla ribalta della politica ucraina. Al motto di “Crimea is Ukraine”, il lancio della “Piattaforma Crimea” è la più ambiziosa iniziativa diplomatica messa in campo finora dal Presidente. Al primo vertice, il 23 agosto, hanno partecipato 40 paesi: tutti quelli Ue, Nato, gli Usa e poi Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Svizzera, Turchia, Georgia e Moldova. 

Nella prospettiva della nuova presidenza americana, il precedente della Crimea è pericolosissimo, soprattutto in relazione alle ambizioni della Cina verso Taiwan. Gli Usa formalmente riconoscono la sovranità cinese su Taiwan e non si sono mai impegnati a difenderla da un’eventuale invasione, ma hanno una posizione inequivocabile ogni volta che le forze di Pechino compiono atti ostili verso Taipei.

La Russia può provocare allarme per la sua ostentata aggressività (in aprile iniziò formidabili manovre militari lungo tutto il confine ucraino), ma la Cina può essere una minaccia assai più grave per il sistema di vita occidentale, con la sola forza dei suoi numeri; la lenta erosione delle libertà civili ad Hong Kong ha dimostrato la sua poca tolleranza per modelli politici alternativi a quello dominante a Pechino. 

Lo spicciativo disimpegno Usa dall’Afghanistan appare motivato, nella visione di Biden, dall’idea che le ‘endless wars’ hanno distratto per un ventennio risorse ed attenzione dell’Occidente, permettendo alla Cina di diventare quietamente uno dei maggiori players globali, e che è urgente un cambio di prospettiva. 

Nella dottrina Biden la Cina “è più interessata al dominio che alla coesistenza”. 

Rifocalizzare la questione ucraina sulla Crimea significa dunque lanciare il messaggio che in futuro non saranno tollerate altre “riunificazioni” forzate. Non appare, pertanto, un caso che alla Piattaforma Crimea partecipino importanti Paesi del Pacifico, che non hanno un interesse immediatamente evidente negli affari interni ucraini. Si parla a Kiev perché Pechino intenda. 

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