Guida ragionata alle prossime elezioni romane. Punti di forza e di debolezza, luci ed ombre di Carlo Calenda, Roberto Gualtieri, Enrico Michetti e Virginia Raggi. Ma il 3 e il 4 ottobre nella capitale si vota anche per il seggio alla Camera lasciato libero da Emanuela Del Re. In lizza, tra gli altri, l’azzurro Pasquale Calzetta, il dem Andrea Casu e l’ex magistrato Luca Palamara
Capitale politica d’Italia, mai come questa volta. Le prossime elezioni che si svolgeranno il 3 e il 4 ottobre vedranno la città eterna grande protagonista, anche più del solito. E non solo perché i romani saranno chiamati a votare per il sindaco. I cittadini del collegio uninominale Lazio 1 – 11 – ovvero quello che comprende i quartieri Gianicolense, Aurelio, Casalotti, Trionfale, Primavalle e Pisana – dovranno anche scegliere chi eleggere alla Camera al posto di Emanuele Del Re, eletta nel 2018 con i cinquestelle ma dimessasi da deputata prima dell’estate dopo la nomina a rappresentante speciale dell’Unione europea per il Sahel.
UN ASSAGGIO DI SECONDA REPUBBLICA
Un appuntamento quasi dai contorni nostalgici considerato che andrà in scena una competizione in stile seconda repubblica. Ossia, senza i cinquestelle – che hanno abbastanza clamorosamente rinunciato a correre – e con il centrodestra e il centrosinistra, dunque, favoriti nel contendersi il seggio alla Camera. Se la vedranno l’esponente di Forza Italia ed ex presidente dell’XI municipio di Roma Pasquale Calzetta – che nel 2018 perse di un’incollatura a favore di Del Re – e il segretario romano del Pd Andrea Casu, senza dimenticare comunque i due outsider in corsa. Il primo è un nome più che noto delle cronache politiche e giudiziarie, l’ex magistrato Luca Palamara che fino a pochi giorni fa, prima della decisione di puntare su Calzetta, aveva accarezzato l’idea di essere il candidato del centrodestra. In campo, infine, anche il tesoriere del Partito liberale europeo Giovanni Cocco, sostenuto pure dalla lista Rinascimento di Vittorio Sgarbi.
UNA POLTRONA PER QUATTRO
Risvolti nazionali che ovviamente, e non potrebbe essere altrimenti, si faranno sentire anche in vista della sfida per il Campidoglio. Il primo turno si svolgerà sempre il 3 e il 4 ottobre, mentre il ballottaggio – probabilissimo – due settimane dopo, il 17 e il 18. Quattro i candidati in corsa: il leader di Azione Carlo Calenda, l’ex ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri per il centrosinistra, l’avvocato e commentatore radiofonico Enrico Michetti per il centrodestra (qui una sua intervista a Formiche.net) e l’uscente e ricandidata Virginia Raggi per i cinquestelle. Un voto denso di significati ma pure di incognite, che inevitabilmente potrebbe anche anticipare alcuni trend politici nazionali, come avvenne nel 2016 quando la vittoria dell’attuale sindaca, insieme a quella di Chiara Appendino a Torino, aprì la strada all’onda gialla del movimento nelle successive elezioni politiche di inizio 2018.
MICHETTI PUNTA SUL PESO DEI PARTITI
Che si tratti del favorito, almeno sulla carta, ci sono pochi dubbi. D’altronde lo speaker radiofonico potrà far leva in questa campagna elettorale sulla coalizione che, dati alla mano, totalizza il maggior numero di consensi nel Paese. Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e Noi con l’Italia-Udc – ovvero i partiti che sostengono la sua candidatura – arrivano a totalizzare una percentuale di consensi a livello nazionale che oscilla tra il 45 e il 50%. Voti che inevitabilmente pure a Roma si riverseranno in buona parte su Michetti, destinato, anche secondo i sondaggi, ad arrivare primo il 4 ottobre. Bisognerà piuttosto stabilire quale sarà lo scarto perché, come spesso avviene, al ballottaggio potrebbe aprirsi, non solo per lui, una partita completamente diversa. Ergo, se il vantaggio al primo turno non dovesse essere troppo ampio le sue chance di vittoria finale si restringerebbero in misura non irrilevante.
GUALTIERI CORRE SUL FILO DI LANA
Questione praticamente opposta quella che si pone invece per Gualtieri, per il quale i rischi principali si annidano semmai al primo turno. La competizione è cioè così serrata e di livello – tutti e quattro i nomi in lizza hanno in fondo, per varie ragioni, un’oggettiva credibilità e diverse armi sulle quali puntare – da far temere al centrosinistra di non riuscire a centrare l’obiettivo del ballottaggio. Non che i sondaggi diffusi finora dicano questo per la verità: secondo le rilevazioni infatti, Gualtieri dovrebbe arrivare secondo dopo Michetti. A quel punto, al ballottaggio, si aprirebbe una sfida completamente diversa, nella quale il candidato di centrosinistra potrebbe far valere una rilevante forza attrattiva nei confronti degli elettori di Raggi e Calenda. Ragionamento che ovviamente, ricordiamolo sempre, impone il condizionale. Con la stessa questione sollevata a proposito di Michetti che rimane da considerare: a quanto ammonterà, sempreché si concretizzi effettivamente, il vantaggio accumulato dal candidato di centrodestra al primo turno? Dalla risposta a questa domanda potrebbe passare, appunto, l’esito del voto romano.
RAGGI SCOMMETTE ANCORA SUL VOTO DI PROTESTA
Scenario, quello descritto finora, sul quale grava l’incognita Raggi, nel senso che in città, nonostante tutto, non c’è ancora una chiara percezione del consenso che i cittadini continuano a tributare oppure no alla sindaca uscente. Una cosa però è abbastanza certa: la prima cittadina pentastellata si è indebolita ancora di più nelle zone centrali e semi-centrali di Roma, nelle quali non aveva brillato troppo neppure nel 2016, ma ha tenuto bene, sembra, nelle aree periferiche e semi-periferiche. La domanda anche in questo caso attiene al quanto. Ovvero, è ancora così solido in quei quartieri della città il voto di protesta che cinque anni fa consentì a Raggi di sbaragliare la concorrenza, sia al primo che al secondo turno? Come si dice in questi casi, lo scopriremo solo vivendo, anche perché la stampa mediamente ha finora dato prova di conoscere in maniera non così approfondita le periferie del Paese, comprese quelle romane. Il rischio bolla dunque esiste, eccome.
CALENDA INSEGUE IL MIRACOLO
Molto più di un quarto incomodo appare, infine, Calenda, il più lesto a dichiarare di voler sfidare Raggi per il Campidoglio già lo scorso autunno. Un tempismo che gli ha consentito di organizzare una campagna elettorale molto strutturata e di partire in anticipo con il programma. Questo aspetto, in pratica, è il principale su cui il leader di Azione sta puntando per cercare di convincere i romani: essere percepito come il più competente sui vari temi in discussione e come il più pronto nel trasformare le promesse in fatti concreti. Il voto su cui ha deciso di scommettere è praticamente tutto d’opinione, al punto di aver scelto di schierare una sola lista elettorale, a fronte di scelte completamente diverse da parte dei suoi avversari. Tradotto, sarà trainato poco dai candidati e dalle liste e molto di più, almeno è ciò che spera, dalle sue idee e dal personaggio che in questi anni ha creato intorno a sé. Difficile dire dove possa arrivare.
Sappiamo che Alfio Marchini, che nel 2013 optò per una simile avventura in solitaria, ottenne il 9,4%. Risultato che allora venne salutato come un successo ma che a questo punto starebbe stretto a Calenda. Il quale, lo ricordiamo, guida un partito che a livello nazionale si posiziona più o meno intorno al 3%. Semplificando, possiamo dire che se totalizzasse tra il 10 e il 15% otterrebbe un bel risultato e tra il 15 e il 20 ottimo. Sopra il 20 sarebbe invece una specie di miracolo. E a quel punto sì che potrebbe puntare al ballottaggio.