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Perché Blinken teme la Wagner in Mali (e in Africa)

La situazione delle democrazie in Africa sta degenerando, e per gli Stati Uniti – che vedono nella tutela e promozione dei diritti democratici un vettore di politica estera – la presenza di forze ibride come la Wagner è un problema. E in Mali si dovrebbe votare tra pochi mesi

Tra i vari punti che il segretario di Stato statunitense, Anthony Blinken, ha voluto sottolineare al ritorno dal suo tour africano, ce n’è uno che non può passare inosservato perché racconta perfettamente una parte degli interessi che gli americani mettono sul continente: il capo della diplomazia di Washington ha sottolineato in modo particolare che la presenza del Wagner Group in Paesi come il Mali può essere destabilizzante.

La dichiarazione spiega esattamente che gli Stati Uniti guardano all’Africa anche come centro delle penetrazioni dei rivali strategici – Cina e Russia – e che intendono contenerle. Non c’è solo la partita per giocare influenza, ma anche il rischio che certe attività come quelle del Wagner Group – una milizia privata molto vicina al Cremlino – possano produrre varie forme di destabilizzazione da cui poi la Russia potrebbe trarre vantaggio e gli Usa subire.

Blinken la mette su questo piano: la Russia sta cercando di intralciare il processo con cui gli Stati Uniti stanno cercando di promuovere la democrazia in Africa. L’argomento non è nuovo ed è completamente inserito in quello scontro tra modelli più volte descritto: da una parte l’amministrazione Biden che organizza il Summit delle Democrazie e trasforma la tutela dello stato di diritto e dei valori democratici in vettore per la politica internazionale; dall’altro le democrature e i regimi autoritari che si propongono come alternativa pragmatica all’idealismo dei Democratici globali – mettendolo costantemente in discussione anche attraverso campagne ibride di interferenza e infowar.

“Sarebbe particolarmente spiacevole se attori esterni si impegnassero a rendere le cose ancora più difficili e complicate”, ha detto Blinken durante una conferenza stampa a Dakar, in Senegal, la scorsa settimana: “[Il Mali] rimane un perno per la stabilità futura nel Sahel e abbiamo profonde preoccupazioni per questa stabilità e per l’estremismo e il terrorismo che sta diffondendo tentacoli nella regione”. E ancora: “Questo riguarda in definitiva il popolo del Mali e le sue aspirazioni di pace, le sue aspirazioni di sviluppo e di rispetto dei diritti umani. Non vediamo l’ora di fare i prossimi passi per riprendere l’intera gamma di assistenza non appena il governo democraticamente eletto si sarà insediato”.

Nei primi mesi del 2022 – quando il governo di transizione dovrebbe finire il suo incarico – si dovrebbe votare in Mali, dopo che a maggio, per la seconda volta in meno di due anni, i militari hanno preso il potere con un colpo di stato. La paura è che gli uomini della Wagner possano interferire con il delicatissimo processo in corso – qualcosa del genere era già successo nel 2019 in Libia. Ai russi è stata affidata la gestione della sicurezza (assistenza e training alle forze locali) in un contesto molto critico: l’instabilità diffusa (anche o soprattutto securitaria) si lega alla presenza di gruppi armati di vario genere. Una situazione che a ottobre ha prodotto oltre 400mila sfollati interni – mai così tanti negli ultimi dieci anni, legati a questa insicurezza e all’aumento dei conflitti intercomunitari e anche peggioramento della crisi climatica, come spiega l’Osservatorio Diritti.

Gli Stati Uniti hanno più volte sottolineato come questi mercenari russi possano essere una presenza tossica in Africa, dove sono dispiegati in diversi Paesi – per esempio in Libia o in Ciad, o in Repubblica centroafricana.L’Fbi ha anche messo una taglia sul proprietario della società, l’imprenditore russo Yevgeny Prigozhin, noto come “lo chef di Putin”. Il timore è collegato a una serie di contingenze: in Africa si sta assistendo a un arretramento del processo di democratizzazione sperato da Usa e Ue, e la paura è che la presenza di active measures malevoli russe possa accelerare certi percorsi.

In poco più di sei mesi, il continente ha subìto sette colpi di Stato, di cui cinque attuati dai militari e andati a buon fine. Trend che fa ripiombare il continente nel passato e sembra obliterare gli sforzi verso transizioni democratiche – di cui il Sudan era un simbolo. Sulla situazione ha pesato anche la pandemia, che ha inasprito divisioni esistenti e prodotto crisi economiche: un rapporto della Banca Mondiale, per esempio, spiega che dopo il Covid il 20 percento delle famiglie sudanesi non possono più permettersi di comprare pane, cereali e prodotti di prima necessità.

Il sostrato instabile e le tensioni pre-esistenti sono le condizioni in cui le interferenze di attori ibridi come la Wagner attecchiscono meglio. La democrazia non è considerata credibile in diversi Paesi africani, e “i colpi di stato militari sono tornati in un clima in cui vi è una mancanza di unità nelle risposte della comunità internazionale [e] le divisioni geopolitiche stanno minando la cooperazione internazionale e un senso di impunità sta prendendo piede”, ha detto Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite.



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