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L’intelligence anglosassone aveva previsto tutto. Perché non è bastato?

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È sufficiente mettere in fila articoli, viaggi e discorsi pubblici: gli avvertimenti erano partiti già diversi mesi fa, diretti anche all’Europa. Burgess, veterano Cia: “Quando l’Ue deciderà che le sanzioni economiche sono insufficienti e farà qualcosa di più?”

C’è una magrissima consolazione per l’intelligence anglosassone: aveva previsto tutto mesi fa, dal dispiegamento di forze russe al confine con l’Ucraina, agli obiettivi, dai pretesti all’attacco su larga scala. E se ha avuto ragione una volta, potrebbe avercela anche una seconda: secondo Stati Uniti e Regno Unito l’obiettivo di Mosca è occupare l’Ucraina per arrivare, anche tramite eliminazioni e arresti mirati (le liste degli obiettivi sarebbero già pronte da tempo), a “decapitare” il governo di Kiev per instaurare uno filorusso.

Shashank Joshi, esperto di difesa dell’Economist, ha messo in fila su Twitter alcuni avvenimenti relativi alle intelligence di Stati Uniti e Regno Unito che confermano la magra consolazione. A ottobre i massimi funzionari dell’intelligence e dell’esercito degli Stati Uniti avevano detto al presidente Joe Biden che Mosca “si stava preparando a invadere l’Ucraina”. “Non soltanto gli Stati Uniti avevano immagini di truppe che si spostavano in posizione, ma avevano anche i piani dell’esercito russo per una campagna contro l’Ucraina, i cui dettagli erano già in corso”, ha rivelato nei giorni scorsi il New York Times. A inizio novembre William Burns, direttore della Cia, diplomatico di lungo corso, ex ambasciatore in Russia, si è recato a Mosca per un incontro urgente con i massimi funzionari della sicurezza russa. Il 30 novembre, in occasione del suo primo discorso pubblico da capo del Secret Intelligence Service, Richard Moore aveva avvisato Mosca: “Non dovrebbe avere dubbi sul sostegno dei nostri alleati alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina”. Infine, il 3 dicembre i funzionari dell’intelligence statunitense indicavano che la Russia avrebbe radunato 100 gruppi tattici armati e 1750.000 uomini (alla fine i numeri si sono rivelati più alti) per “un’offensiva su più fronti”, come scriveva il Washington Post.

Si tratta probabilmente del più grande successo dell’intelligence da generazioni. Ma davanti a sé l’intelligence statunitense e quella britannica hanno trovato un avversario, Vladimir Putin, fortemente determinato ad andare in guerra; un certo scetticismo da parte dell’opinione pubblica per i precedenti dell’inizio degli anni Duemila (chissà se fomentati proprio dalla propaganda di Mosca); e una certa dose di prudenza da parte dei governi dell’Europa, in particolare di quella centrale rispetto a quella più vicina all’Ucraina. Il tutto nonostante una strategia che su Formiche.net abbiamo definito iper-comunicativa, guidata dai sopracitati Moore e Burns. Quest’ultimo assieme a Avril Haines, ex vicedirettrice della Cia, oggi a capo della comunità d’intelligence nazionale degli Stati Uniti. Il loro obiettivo era aumentare, anche declassificando materiale a favore degli alleati, l’attenzione sulle mosse di Putin fino a preannunciarle – tanto da rendere “paranoico un già isolato erede del Kgb” (come ha scritto il Time) seminando il dubbio che al Cremlino ci fosse (ci sia?) una talpa.

Il presidente Biden e il segretario di Stato Antony Blinken “hanno condiviso la loro intelligence definitiva con il mondo e hanno dimostrato di sapere che Putin stava pianificando un attacco, come è successo in questo tragico giorno”, spiega Christopher Burgess, ex ufficiale della Cia, a Formiche.net. “Questa intelligence ha anche permesso a Stati Uniti, Unione europea e altri di elaborare un piano per soffocare le capacità della Russia di finanziare la guerra”, aggiunge.

“Le perdite crescenti di civili e la crisi dei rifugiati sono destinate a gravare sulle nazioni vicine – Romania, Moldavia, Polonia e oltre”, continua Burgess. Infine, “rimane una domanda”, dice guardando sempre alle previsione dell’intelligence anglosassone sull’invasione russa: “Quando l’Unione europea deciderà che le sanzioni economiche sono insufficienti e farà qualcosa di più?”.

In fin dei conti, l’intelligence “non produce una strategia”, ha scritto Dan Lomas dell’Università Brunel di Londra in un’analisi per il centro studi britannico Rusi. Piuttosto, “rimane uno strumento per informare l’azione di governo; non potrà mai essere essa stessa un potere per modificare le politiche di altri Stati e di altri leader”. La lezione di oggi è “che nonostante la grande quantità schiacciante di intelligence e gli avvertimenti occidentali, Putin ha scelto la strada dell’escalation”, ha concluso l’esperto.

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