Mentre l’esercito russo prosegue nella sua campagna d’invasione dell’Ucraina, l’Occidente si ricompatta. In una lettera indirizzata al presidente Usa, Biden, trenta esperti sollecitano la creazione di una No-fly zone sopra l’Ucraina. Intanto, cresce anche l’Europa della Difesa con il referendum danese
L’invasione russa dell’Ucraina continua ad avere l’effetto di compattare l’Occidente nella ferma condanna delle azioni del Cremlino, e non solo. Mentre sempre più Paesi europei abbandonano le tradizionali resistenze alla costruzione di una Difesa comune e all’innalzamento delle proprie spese militari (come la Danimarca che ha appena indetto un referendum per aderire alla Difesa comune), da più parti si levano voci che chiedono un intervento che vada anche oltre le sole sanzioni. In una lettera aperta inviata all’amministrazione di Joe Biden, trenta esperti, ex segretari del governo, militari, ambasciatori, ricercatori e studiosi hanno sollecitato gli Stati Uniti e gli alleati Nato a imporre una No-fly zone sui cieli dell’Ucraina. Secondo quanto indicato dalla lettera “la comunità internazionale ha risposto rapidamente, ma altro ancora va fatto per prevenire ulteriori vittime e un potenziale bagno di sangue”. Per questo, sarebbe necessaria una No-fly zone imposta dagli Stati Uniti e dalla Nato per proteggere i corridoi umanitari.
Le richieste dei trenta
Secondo quanto ribadito più volte dai trenta firmatari, l’intenzione della No-fly zone non è quella di un confronto tra le forze Nato e Russe, e anzi i leader atlantici dovrebbero rendere chiaro che si tratterebbe solo di una misura di protezione, indirizzata a impedire ulteriori attacchi ai civili da parte delle Forze armate russe. “È tempo che gli Stati Uniti e la Nato intensifichino il loro aiuto agli ucraini prima che altri civili innocenti cadano vittime della follia omicida di Putin”. Oltre a questo, la lettera chiede anche che l’Occidente invii ulteriori mezzi militari per l’autodifesa ucraina “disperatamente necessari, e necessari ora”. I proponenti, infatti, registrano anche il loro supporto alla richiesta inoltrata dal presidente ucraino per la fornitura di A-10 “Warthog”, aereo statunitense da attacco al suolo, e MiG-29, caccia da superiorità aerea di era sovietica in dotazione ad alcune nazioni europee.
I firmatari
A firmare la missiva per il presidente Biden sono stati: Anders Aslund, senior fellow dello Stockholm free world forum; Stephen Blank, senior fellow del Foreign policy research institute; il generale Philip Breedlove, già Comandante supremo alleato in Europa; Ian Brzezinski, ex vice assistente segretario della Difesa; Orest Deychakiwsky, ex policy adviser della Us Helsinki commission; Larry Diamond, senior fellow della Hoover institution e della Freeman Spogli Institute for international studies, della Stanford university; Paula Dobriansky, ex sottosegretario di Stato Usa per gli Affari globali, Eric S. Edelman; già sottosegretario alla Difesa, Evelyn Farkas; ex vice assistente segretario della Difesa per la Russia, l’Ucraina e l’Eurasia; Daniel Fried, ex assistente segretario di Stato e ambasciatore Usa in Polonia; Andrew J. Futey, presidente dell’Ukrainian congress committee of America; Melinda Haring, vice direttore dell’Atlantic council eurasia center; John Herbst, ex ambasciatore Usa in Ucraina; il generale Ben Hodges, ex generale comandante dell’Esercito Usa in Europa; Glen Howard, presidente della Jamestown Foundation; Donald Jensen, della Johns Hopkins University; Ian Kelly, ex ambasciatore Usa in Georgia e all’Osce; John Kornblum, ex assistente segretario di Stato e ambasciatore Usa in Germania; Shelby Magid, direttore associato dell’Atlantic council Eurasia center; Robert McConnell, co-fondatore della U.S.-Ukraine foundation; Claire Sechler Merkel, direttore senior del McCain Institute for international leadership; David A. Merkel, ex vice assistente segretario di Stato e direttore del National security council; Barry Pavel, vice presidente senior e direttore dello Scowcroft center for strategy and security dell’Atlantic council; Herman Pirchner, presidente dell’American foreign policy council; Michael Sawkiw, Jr., direttore dell’Ukrainian national information service; Leah Scheunemann, vice direttore del Transatlantic security initiative dell’Atlantic council; Benjamin L. Schmitt, ex advisor per la sicurezza energetica europea del dipartimento di Stato degli Stati Uniti; William Taylor, ex ambasciatore Usa in Ucraina; Alexander Vershbow, ex ambasciatore Usa in Russia e alla Nato; Kurt Volker, ex ambasciatore Usa alla Nato e rappresentante speciale per le negoziazioni in Ucraina
Effetti anche in Europa
Anche in Europa l’aggressione russa contro Kiev ha spinto numerosi Paesi a rivedere le proprie tradizionali politiche in materia di Difesa. Da ultima anche la Danimarca, con la primo ministro Mette Frederiksen che ha annunciato che il Paese terrà un referendum popolare il 1° giugno per decidere se unirsi alla cooperazione dell’Unione europea in materia di sicurezza e difesa. La Danimarca, infatti, pur facendo parte di Nato e Ue, aveva deciso di non aderire alla difesa europea, secondo una clausola di “opt-out”.
Il cambio di percezione
La Danimarca è rimasta a lungo estranea a diverse politiche comune europei: oltre alla difesa, infatti, la monarchia nordica è esclusa anche dall’utilizzo dell’euro, dopo il voto contrario dei danesi al referendum del 1992 sul trattato di Maastricht. Anche altre volte il governo danese aveva spinto per una modifica della clausola che impediva al Paesi di aderire alla Difesa europea. Nelle consultazioni referendarie del 2015, le ultime in ordine di tempo, poco più della metà degli elettori aveva ribadito la sua volontà di tenere fuori Copenaghen dalle iniziative difensive europee. Ora, l’invasione dell’Ucraina ha cambiato radicalmente la percezione della popolazione sulla necessità di cooperare con gli altri Stati europei.
Anche la Danimarca al 2%
Inoltre, a prescindere dal risultato del quesito popolare, è intenzione del governo danese aumentare il proprio bilancio destinato alle spese militari al 2% del Pil nei prossimi anni, seguendo l’analoga decisione del governo tedesco. Nei prossimi due anni investirà circa 940 milioni di euro, che si aggiungeranno al proprio bilancio attuale di circa tre miliardi e mezzo di euro. Cifre ancora sotto la soglia del 2%, ma che prefigurano il raggiungimento dell’obiettivo entro il 2033.
E l’Italia?
Sull’argomento del raggiungimento del 2% per le spese militari è intervenuto anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che al Senato ha lanciato l’appello affinché il nostro Paese investa nella Difesa “più di quanto abbia mai fatto”. Linea condivisa dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini: “Si tratta di fare più investimenti per presidiare un pezzo della nostra sovranità nazionale tecnologica”. Negli ultimi quattro anni il bilancio della Difesa è cresciuto di oltre tre miliardi e mezzo, ma ancora non ha raggiunto la soglia fissata dai Paesi europei al vertice Nato in Galles del 2014, sottoscritta anche dall’Italia.