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Pasdaran freddato a Teheran. Cosa sappiamo finora

I contorni dell’operazione e l’esperienza di David Barnea, da un anno alla guida del Mossad, fanno riemergere i soliti sospetti. Ma questa uccisione mirata presenta una novità: per la prima volta viene eliminato un ufficiale dei Guardiani della rivoluzione non legato direttamente al programma nucleare

Abdullah Ahmed Abdullah, numero due di Al Qaeda, freddato in un quartiere di Teheran controllato dai Pasdaran dove aveva trovato rifugio, il 7 agosto 2020. Mohsen Fakhrizadeh, scienziato e padre del programma nucleare iraniano, ucciso il 27 novembre 2020 ad Absard, una cittadina poco distante da Teheran, mentre a bordo della sua autovettura si stava recando nella sua casa del fine settimana. Sayad Khodayari, colonnello dei Pasdaran, freddato il 23 maggio 2022 mentre tornava a casa nel cuore di Teheran.

La capitale dell’Iran anche per mandare un avvertimento al regime. Le imboscate con le motociclette. Gli obiettivi individuati come figure di spicco della minaccia iraniana verso Israele (a partire da quella nucleare e missilistica) e delle ambizioni regionali dell’Iran tramite i suoi proxy in diversi Paesi, a partire dalla Siria e dal Libano, che confinano con Israele.

Tutto alimenta i soliti sospetti, anche nel recente caso di Khodayari: è stato il Mossad, che già aveva fornito aiuto agli Stati Uniti in occasione dell’uccisione il 3 gennaio 2020 a Baghdad, in Iraq, di Qasem Soleimani, generale iraniano capo delle Forze Quds, ossia dell’unità d’élite dei Pasdaran, regista delle ambizioni regionali di Teheran e consigliere dell’ayatollah Ali Khamenei.

Si tratterebbe in tutti questi casi di uccisione mirata, pratica a cui Israele ha fatto spesso ricorso nella sua storia e a cui Ronen Bergman ha dedicato il libro Rise and kill first (in italiano Uccidi per primo, dalla frase del Talmud che recita “Se qualcuno viene per ucciderti, alzati e uccidilo per primo”, edito da Mondadori).

La morte di Abdullah, nella lista dei ricercati dell’FBI per il suo coinvolgimento negli attentati alle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania nel 1998 che causarono più di 200 morti tra cui 12 americani, è stata confermato da Mike Pompeo, allora segretario di Stato americano, il 12 gennaio 2021. Cioè la settimana prima dell’insediamento del presidente Joe Biden. Un’operazione condotta, aveva rivelato a novembre il New York Times, da agenti israeliani su ordine degli Stati Uniti.

Per molti quella dichiarazione di Pompeo suonava come un monito all’amministrazione statunitense da parte di quella uscente e di Israele, con il primo ministro Benjamin Netanyahu che aveva coltivato ottimi rapporti con Donald Trump e la sua squadra di governo (basti pensare agli Accordi di Abramo). Il messaggio era chiaro: non abbassare la guardia davanti ai proxy iraniani e non impegnarsi nel dialogo con Teheran sull’accordo nucleare.

Stesso messaggio inviato da Yossi Cohen nel giugno 2021. Cioè appena dopo aver lasciato la guida del Mossad e a pochi giorni dalle elezioni in Israele (che hanno messo fine ai 12 anni di governo di Netanyahu, di cui Cohen è considerato un fedelissimo). Intervistato dall’emittente televisiva Keshet 12 non si era assunto la responsabilità di una specifica operazione ma era stato piuttosto ambiguo lasciando ampio spazio a chi volesse interpretare le sue parole come una rivendicazione.

Il Mossad non è cambiato con l’arrivo del nuovo direttore, David Barnea, già vice di Cohen e da quest’ultimo indicato a Netanyahu. Perché Barnea è considerato un continuatore della linea Cohen seppur con toni più moderati. Perché non sono cambiate le priorità di Israele. E perché i cambi alla guida del Mossad e successivamente del governo non hanno intaccato il rapporto tra l’intelligence e la politica in Israele: d’altronde, come fatto notare al tempo su Formiche.net da Bergman, il nuovo primo ministro conservatore Naftali Bennett e Barnea, così come Omer Bar-Lev, deputato laburista diventato ministro della Pubblica sicurezza nel nuovo esecutivo, hanno fatto il servizio militare nella Sayeret Matkal, unità d’élite per le operazioni speciali dell’esercito israeliano, commando che nel 1976 condusse l’Operazione Entebbe in cui perse la vita il tenente colonnello Yonatan Netanyahu, fratello dell’ex primo ministro (un altro membro dell’unità).

Dopo l’uccisione del “difensore del santuario” (termine utilizzato per descrivere chiunque operi per conto dell’Iran in Siria o in Iraq) Khodayari, il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha giurato vendetta. Saeed Khatibzadeh, portavoce del ministero degli Esteri, ha dichiarato che il colonnello è stato assassinato da “nemici giurati” dell’Iran che sono “agenti terroristici affiliati all’arroganza globale”. Il riferimento è agli Stati Uniti e ai loro alleati, a partire da Israele, Paesi che “affermano di combattere il terrorismo” ma “lo sostengono”, ha aggiunto.

L’assassinio potrebbe essere stato pianificato allo scopo di turbare Teheran in una fase decisiva per il dialogo sull’accordo nucleare, ha spiegato Sanam Vakil, vicedirettore del programma Medio Oriente e Nord Africa del centro studi britannico Chatham House, all’agenzia Reuters. “Se Israele dovesse essere responsabile dell’attacco, ci ricorderebbe la crescente portata e capacità destabilizzante di Israele all’interno dell’Iran”, ha dichiarato.

Infatti, a poche ore dall’annuncio dell’uccisione di Khodayari, i media iraniani hanno dichiarato l’arresto di “delinquenti legati ai servizi segreti del regime sionista” da parte dei Pasdaran. “Sotto la guida dei servizi segreti del regime sionista, la rete ha tentato di rubare e distruggere proprietà personali e pubbliche, di rapire e di ottenere confessioni falsificate attraverso una rete di delinquenti”, hanno dichiarato i Guardiani della rivoluzione. Ad aprile, il ministero dell’Intelligence iraniano aveva dichiarato di aver arrestato tre spie del Mossad, secondo una dichiarazione pubblicata dall’agenzia di stampa semi-ufficiale Fars.

La penetrazione dell’Iran sembra essere la specialità di Barnea, che in passato ha diretto la Tzomet, divisione del Mossad che si occupa di individuare, reclutare e gestire gli agenti. La promozione a vicedirettore ha sottolineato il suo successo confermato da una serie di episodi. La lista è lunga e significativa, dal furto dell’archivio nucleare iraniano a vari sabotaggi ai siti strategici, dall’aiuto agli Stati Uniti per l’uccisione di Soleimani fino all’eliminazione di Fakrizadeh. Come il predecessore, Barnea è capace di giocare nella guerra di informazione tra notizie, indiscrezioni, mezze conferme e dichiarazioni ambigue.

Così Guido Olimpio ha scritto di questa “specialità” dell’intelligence per Ispi.

Crea un’area grigia dove non c’è un’assunzione di responsabilità diretta, ma induce a pensare che ci sia realmente. Anche quando il coinvolgimento israeliano è puramente teorico o non esiste. Tattica che serve ad alimentare le incertezze nell’avversario, che nel caso dell’Iran diventa una storia particolare: i successi del Mossad sono usati da una parte dell’establishment khomeinista nella faida politica interna, diventano colpe gravi da scaricare su coloro che sono incaricati della sicurezza.

Ma l’uccisione di Khodayari presenta una grossa novità: il colonnello è il primo ufficiale dei Pasdaran non legato al programma nucleare a essere ucciso. Comandava l’Unità 840: è il reparto delle Forze Quds che pianifica azioni all’estero e di cui farebbe parte Mansour Rasouli, cinquantaduenne che ha recentemente confessato, filmato dal Mossad dopo il fermo, che stava organizzando attentati in Europa. Khodayari stava pianificando qualcosa? Forse sì, visto che alcuni tra i Pasdaran vorrebbero far naufragare i colloqui per un accordo nucleare e per farlo potrebbero anche organizzare qualcosa di clamoroso.

Inoltre, Khodayari era uno degli uomini che gestiscono il traffico di armi in Siria, una delle terre di quella che viene chiamata Mabam, la guerra tra le guerre di Israele. Ecco perché la sua uccisione potrebbe rappresentare un messaggio di Israele all’Iran ma anche alla Russia che la scorsa settimana avrebbe per la prima volta aperto il fuoco con i sistemi S-300 contro un raid aereo di Israele nel Paese di Bashar Al Assad.

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