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Batterie, Tesla cambia strategia (verso gli Usa). E l’Europa?

Il colosso di Elon Musk valuta di sospendere un progetto per la produzione di batterie in Germania per inseguire le opportunità dell’Inflation reduction act. Si accende così la corsa agli incentivi per il reshoring della filiera delle batterie. Mentre l’Unione europea…

Secondo le indiscrezioni raccolte dal Wall Street Journal, Tesla starebbe valutando di bloccare l’espansione delle sue attività in Germania, per la produzione di celle per le batterie al litio, dal momento che negli Stati Uniti potrebbero esserci condizioni più favorevoli al suo business.

Se confermato, si tratterebbe di un importante segnale di come la corsa alle batterie stia diventando un terreno sempre più caldo nella competizione globale, con i governi che sgomitano per attrarre investimenti e nuove capacità produttive in una tecnologia chiave per l’economia low-carbon, oltre alla necessità di ridurre il gap con la Cina e, dunque, la dipendenza commerciale.

L’azienda di Elon Musk vorrebbe riportare negli Stati Uniti gli asset industriali in origine destinati alla gigafactory vicino a Berlino e annunciata a marzo di quest’anno, un impianto da 12.000 persone e con una capacità di produzione stimata di 500.000 veicoli all’anno.

Negli Stati Uniti affrontare la questione delle batterie e delle relative filiere, in particolare i segmenti midstream come la raffinazione e quelli upstream legati all’approvvigionamento di materie prime critiche come litio, cobalto, grafite e nickel è diventato un importante dossier per la sicurezza nazionale, come dimostrato dal report della Casa Bianca e che ha spinto il presidente Joe Biden a ricorrere ai poteri del Defense Production Act per incentivare la produzione domestica e il Dipartimento dell’Energia a investire circa 3 miliardi, all’interno del Bipartisan Infrastructure Law, per sviluppare una filiera americana. Un contesto che ha stimolato la fiducia dei privati: sin dall’avvento di Biden alla Casa Bianca, l’industria automotive a stelle strisce ha annunciato investimenti per più di 36 miliardi di dollari nella produzione di veicoli elettrici e 48 miliardi in batterie.

Ma l’iniziativa del governo statunitense che avrebbe indotto ad un ripensamento di questa portata è l’introduzione, lo scorso agosto, dell’Inflation Reduction Act o IRA. La misura, che promette circa 369 miliardi di dollari per politiche climatiche ed energetiche, è stata anche pensata per prioritizzare l’estrazione e la processazione di metalli per le batterie sul suolo statunitense.

L’aspetto più importante della legge è l’estensione del credito d’imposta di circa 7,500 dollari per i nuovi veicoli elettrici che vengono venduti negli Stati Uniti, vincolato tuttavia alla condizione che parte delle batterie siano costruite con materiali provenienti dal Nord America o all’interno di partnership commerciali “amiche”. Inoltre, la legge stabilisce che più di due quinti dei minerali critici utilizzati nelle batterie devono essere trattati localmente, o riciclati, negli Usa o da un paese partner, con la soglia che potrebbe salire all’80% nel 2026. Si tratta, dunque, di una misura che vuole incentivare la localizzazione della produzione, ma a partire da quegli stadi della supply chain in cui il paese è più carente e dipendente dalla Cina.

Secondo i dati di Benchmark Minerals Intelligence, Pechino è attualmente responsabile a livello globale dell’81% della capacità produttiva di catodi, 91% degli anodi e del 79% delle batterie al litio. Gli Stati Uniti, al contrario, si vedono rispettivamente allo 0.16%, 0.27% e al 5.5%.

Dunque, trasferire parte della produzione negli Usa potrebbe aiutare Tesla a qualificarsi per usufruire degli incentivi fiscali, che consentirebbero di abbattere i costi di produzione delle celle per le batterie di circa un terzo. Questo alla luce di un altro credito, di circa il 10% del costo totale per la manifattura di anodi e catodi, elementi fondamentali per le batterie. Dall’altro lato, il governo americano si assicurerebbe, tramite l’attrazione di mercato del colosso automotive, gli approvvigionamenti necessari per i materiali critici oltre a stimolare nuovamente il settore minerario e di raffinazione.

Restano tuttavia dubbi sulla capacità di questa misura di riequilibrare le attuali carenze sul mercato, dal momento che per gli USA risulterà molto difficile rimpiazzare le importazioni da Cina e Russia dei metalli raffinati (litio e nickel) entro il 2024, anno in cui cesserebbero gli incentivi previsti dall’IRA.

La reazione dell’Unione Europea

Secondo il WSJ, la mossa di Tesla sarebbe da attribuire anche all’attuale situazione manifatturiera in Europa, gravata dalla crisi energetica che rischia di mettere in ginocchio gran parte della capacità industriale del continente, soprattutto gli stabilimenti più energivori come quello metallurgico. Tuttavia, dalla Germania non arrivano conferme sui piani del colosso americano come ha dichiarato a Reuters il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck.

È evidente, tuttavia, che l’attuale situazione renda l’Europa particolarmente esposta ai rischi di delocalizzazione e fuga degli investitori, con l’aggravante di peggiorare future dipendenze sulle supply chain più critiche, come appunto quelle legate alle batterie e ai motori elettrici. Ma non solo per i metalli considerati “critici”: il settore dell’alluminio, essenziale per l’automotive ma anche per l’industria fotovoltaica, è in forte crisi in un contesto in cui l’Europa “avrebbe bisogno di più alluminio per i suoi obiettivi di produzione di pannelli ma con carenze di energia per produrne abbastanza”. Secondo lo studio dell’Università di Leuven, in collaborazione con Eurometaux, l’Europa avrà bisogno del 33% in più di alluminio e del 50% di silicio di quanto produca oggi, senza contare la domanda di terre rare e battery metals, per rispettare gli obiettivi del Green Deal.

Uno spiraglio di luce sembra emergere dal discorso sullo Stato dell’Unione di Ursula von der Leyen. Denunciando come il Green Deal sia fortemente a rischio senza un accesso sicuro e sostenibile alle materie prime, la presidente della Commissione europea è corsa ai ripari annunciando che verrà presentato a breve un Critical Raw Materials Act. La proposta di legge segue una serie di iniziative politiche, coordinate con gli stati membri e l’industria, negli ultimi anni come l’Action Plan sui materiali critici del 2020, il lancio dell’European Raw Materials Alliance (ERMA) e l’omologa sulle batterie. Iniziative di coordinamento ma che lamentano, ad oggi, un’implementazione concreta.

Sulla scia dell’European Chips Act e “per replicarne il successo”, la proposta di legge vorrebbe rafforzare la resilienza europea lungo le supply chain attraverso quattro linee d’azione: provvedere ad un’azione di monitoraggio e assessment sui materiali considerati di particolare importanza strategica per il blocco europeo, stabilendo dunque criteri uniformi per selezionare progetti rilevanti per la transizione energetica e digitale; creare un framework tra le agenzie europee competenti per anticipare e gestire i rischi in coordinamento con le industrie coinvolte; migliorare l’accesso ai finanziamenti per i progetti lungo tutta la filiera (IPCEI), tra cui l’istituzione di un Fondo Sovrano europeo dedicato; puntare sugli standard europei e gli strumenti del mercato unico per livellare gli esistenti squilibri commerciali, con un focus sul friendshoring per gli approvvigionamenti (Cile, Messico, Australia, Nuova Zelanda).

“Litio e terre rare diventeranno a breve più importanti di petrolio e gas”, ha affermato von der Leyen. “Facciamo in modo che il futuro dell’industria sia realizzato in Europa”. I dettagli sono ancora troppo pochi per giudicare l’efficacia della misura. Tuttavia, qualunque obiettivo di maggior autonomia strategica nel settore delle materie prime critiche sarà difficile da realizzare in un contesto in cui le attività industriali, in particolare quelli di trasformazione, dovranno far fronte al caro energia e alla conseguente competizione asimmetrica con i produttori russi, cinesi e asiatici.

“Nel contesto attuale di crisi permanente, l’Unione Europea deve trovare i modi di affrontare la globalizzazione in maniere differente”. Ha commentato Thierry Breton. “Dobbiamo essere più assertivi e meno ingenui nel difendere i nostri interessi economici e valori. Inclusi i materiali strategici.”.


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