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Un “China czar” a Palazzo Chigi. Consigli Usa a Meloni

L’International Republican Institute, fondato da Reagan e partner della Fondazione Farefuturo di Urso, accende un faro sull’influenza di Pechino in Italia e suggerisce quattro mosse. Tra queste, un ufficio ad hoc: “Faciliterebbe scambio di informazione e cooperazione Roma-Washington”

Dall’International Republican Institute, centro studi di Washington molto vicino al Partito repubblicano, giunge un consiglio all’Italia proprio mentre Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, si prepara a succedere con ogni probabilità a Mario Draghi come presidente del Consiglio. “Istituire la figura del coordinatore per gli affari cinesi, con il compito di raccogliere informazioni e coordinare le politiche cinesi dell’Italia”, collocato all’interno dell’ufficio del presidente del Consiglio, “che lavori a stretto contatto con il consigliere diplomatico e si relazioni con il ministero degli Esteri e con altri organismi competenti, tra cui il Copasir”. Una figura che potrebbe servire a “lanciare un allarme tempestivo sulle attività di influenza di Pechino”, “faciliterebbe anche lo scambio di informazioni e promuoverebbe la cooperazione tra Italia e Stati Uniti”.

Quello del “China czar” è uno dei quattro consigli contenuti in un documento pubblicato in queste ore dall’International Repubblica Institute, in cui alcuni esperti analizzano diversi casi studio relativi all’influenza della Repubblica popolare cinese nel mondo. Gli altri tre sono: rendere l’esercizio dei poteri speciali più prevedibile e meno in balia delle spinte politiche (va segnalata la recente riorganizzazione, voluta da Draghi, della struttura di Palazzo Chigi preposta al Golden power); aumentare il controllo sugli accordi e sulle partnership accademiche sponsorizzate da entità cinesi come gli istituti di ricerca statali e le aziende tecnologiche come Huawei e Zte (con un ufficio al Miur); istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta incaricata di raccogliere informazioni sui finanziamenti illegali ai partiti politici provenienti da regimi autoritari, compresa la Cina (sulla scia della proposta dell’attuale ministero degli Esteri Luigi Di Maio con riferimento alla Russia).

Come raccontato su Formiche.net nelle scorse settimane, il pensatoio statunitense, fondato negli anni Ottanta sotto l’egida di Ronald Reagan, ha iniziato a muoversi a Roma di Thibault Muzuergues, direttore del Programma Europa, e ha trovato in Fratelli d’Italia una sponda solida. Ne sono una conferma alcune visite di Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia e presidente del Copasir, animatore della Fondazione Farefuturo, partner propria dell’International Republican Institute. In occasione della più recente, avvenuta due settimane prima delle elezioni in Italia, il presidente Daniel Twining ha ringraziato Urso per l’incontro sottolineando che “l’Italia è un attore chiave in Europa e un partner indispensabile nella Nato per la pace e la stabilità nel Mediterraneo”.

Dopo l’adesione alla Via della Seta nel 2019, con il governo gialloverde di Giuseppe Conte, l’Italia ha reimpostato la rotta euro-atlantica con Draghi. Oggi l’Italia “comprende molto bene come la Repubblica popolare cinese operi nel mondo”, ha dichiarato Wendy Sherman, vicesegretaria di Stato degli Stati Uniti, rispondendo a una domanda di Formiche.net durante un incontro con la stampa europea a giugno.

La politica estera italiana con Meloni a Palazzo Chigi non dovrebbe subire cambi di rotta, in particolare nel confronto con le autocrazie Russia e Cina. Quanto al rapporto con Pechino, è sufficiente notare come, anche con avvertimento su Taiwan, la diplomazia e i media cinesi abbiano accolto la vittoria di Fratelli d’Italia. Come raccontato su Formiche.net, sebbene Fratelli d’Italia abbia una visione sui diritti diversa da quella che caratterizza Taiwan, Meloni ha investito nei rapporti con Taipei – e dunque in una linea critica con la Cina – nel tentativo di occupare uno spazio vuoto, marcando distanza dalla Lega di Matteo Salvini e rassicurando gli Stati Uniti sul suo atlantismo.

Questo approccio si tradurrà nella creazione di un “China czar”? È presto per dirlo, anche perché Roma potrebbe decidere sì di alzare la guardia, ma senza creare “incidenti” con Pechino.


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