Il Giappone ha scelto di rafforzare le proprie capacità strategiche. I nuovi documenti che delineano la sicurezza nazionale sono un passaggio della revisione della postura di Tokyo in mezzo al cambiamento del contesto internazionale, spiega Casanova (Ispi)
“La revisione di tre documenti strategici del Giappone, pubblicata ieri, fotografa la graduale ma costante evoluzione della politica di sicurezza del paese”, spiega Guido Alberto Casanova, ricercatore dell’Ispi.
La nuova Strategia di sicurezza nazionale tra i tre è la più importante perché aggiorna la visione strategica del Giappone in considerazione del mutato contesto internazionale: un aggiornamento del tutto in linea con la traiettoria strategica che Tokyo sta prendendo da diversi anni (indirizzata dal defunto premier Abe Shinzo).
“Rispetto al 2013 — continua Casanova in una conversazione con Formiche.net —quando l’unico altro documento di questo genere è stato pubblicato da Tokyo, il profilo militare della regione è radicalmente trasformato. La Corea del Nord ormai è diventata una potenza nucleare a tutti gli effetti, la Cina ha compiuto sforzi enormi per modernizzare le proprie forze armate e l’invasione russa dell’Ucraina ha riacceso i timori giapponesi riguardo alla tenuta dell’ordine internazionale vigente, specialmente pensando a Taiwan (o alle isole Senkaku, contese tra Cina e Giappone)”.
L’aumento della spesa militare fino al 2% (in linea con gli standard della Nato) entro i cinque anni e l’adozione di “capacità di contrattacco” missilistiche sono due delle risposte contenute nella revisione della posizione difensiva del Giappone, che mirano ad aggiornare gli strumenti a disposizione, per far fronte a nuovi scenari internazionali di cui Tokyo percepisce delicatezza e rischi.
“Sono entrambi degli obiettivi che da tempo erano al centro del dibattito politico giapponese e attorno ai quali si era sviluppato un certo consenso. Se da un lato non si può parlare di sorpresa vera e propria (anche considerate le enormi pressioni esterne a cui è esposta Tokyo), dall’altro bisogna anche riconoscere che per il Giappone si tratta di un passo importante simbolicamente e militarmente che allarga il perimetro di ciò che le forze armate possono fare per assicurare la difesa del paese”, spiega l’esperto dell’Ispi.
In particolare, l’acquisizione di “capacità di contrattacco” ha suscitato diverse critiche interne dal momento che con questo termine si indicano forze militari capaci di colpire e disarmare sia basi che centri di controllo nemici in procinto di lanciare un attacco missilistico nocivo per la sicurezza del Giappone. Casanova ricorda che secondo l’articolo 9 della costituzione giapponese, il Giappone rinuncia a possedere potenziale bellico come un esercito, una marina o un’aviazione: “Ad oggi infatti, quelle giapponesi sono caratterizzare come forze di auto-difesa, che nei propri possibili impieghi devono osservare alcuni importanti vincoli imposti dalla legislazione giapponese”.
Secondo le autorità governative nipponiche la revisione pubblicata venerdì 16 rimane in linea col principio seguito dal Giappone di esclusiva auto-difesa. C’è però, come sottolineato anche dall’opposizione, una linea sottile tra auto-difesa e attacco preventivo: “Nella giornata di venerdì, davanti all’ufficio del primo ministro a Tokyo si sono radunati molti manifestanti per protestare contro la revisione dei documenti. Ciò nonostante , la popolazione giapponese sembra riconoscere che sia necessario aggiornare gli strumenti difensivi del paese per poter far fronte alle crescenti tensioni militari che attraversano l’Asia orientale”, aggiunge Casanova.
Il premier Kishuda Fumio si è intestato la modifica di sei decadi di postura come azione politica segnante del suo governo. L’obiettivo è portare il Giappone a essere una potenza internazionale. Far diventare il budget per la difesa uno dei più grandi del mondo diventa una necessità davanti a quella che viene inquadrata come “una sfida strategica senza precedenti” — tale è quella posta dalle dinamiche in corso nell’Indo Pacifico. Tokyo ha illustrato le sue ambizioni di svolgere un ruolo più attivo nella sicurezza regionale, affermando di voler “raggiungere un nuovo equilibrio nelle relazioni internazionali” collaborando più strettamente con gli Stati Uniti e i suoi alleati per realizzare “un Indo-Pacifico libero e aperto”.
La strategia, che sarà attuata nel prossimo decennio, afferma che “l’ambiente di sicurezza del Giappone è severo e complesso come non lo è mai stato dalla fine [della seconda guerra mondiale]”. “Rafforzeremo fondamentalmente le capacità di difesa come ultima garanzia di sicurezza nazionale”.
Si tratta comunque del più significativo allontanamento del Giappone dalla posizione pacifista sancita dalla sua costituzione. Anche utilizzando questo come una possibile crepa lungo la quale muovere l’infowar, la Cina ha risposto all’annuncio giapponese con una dichiarazioni velenosa diffusa dall’ambasciata a Tokyo. “Il Giappone ha modificato in modo significativo la sua politica di sicurezza […] ciò solleva inevitabilmente il sospetto che il Giappone stia deviando dal suo percorso di sviluppo pacifico del dopoguerra, il che è destinato a suscitare la vigilanza e l’opposizione di tutte le persone che amano la pace”, ha dichiarato la sede diplomatica in un comunicato.
Se fino a un anno fa il percorso verso il raggiungimento di capacità di contrattacco efficaci era parte di un percorso più complesso, la guerra russa in Ucraina ha certamente portato Tokyo a stringere sui tempi. Da aggiungere il cambiamento dello status quo militare che la Cina ha imposto su Taiwan dopo la visita dell’americana Nancy Pelosi e una serie di attività più aggressive cinesi nelle acque dell’Arcipelago. Infine il ritorno delle minacce missilistiche (atomiche) della Corea del Nord.
Lo stanziamento complessivo sarà di 313 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni con cifre incrementali per il decennio. Di questi una parte saranno usati per comprare Tomahawk, una commessa di cui si è molto parlato perché l’acquisizione dei missili da crociera prodotti dall’americana Raytheon significa che Tokyo otterrà capacità di colpire di ritorno chi dovesse attaccarlo (o attaccare per primo). Un’altra parte consistente dell’investimento riguarda il rafforzamento delle capacità di difesa spaziale e informatica, un’area di debolezza su cui i funzionari statunitensi hanno ripetutamente sollecitato Tokyo. Verrà creata una squadra informatica di 20.000 persone all’interno della Forza di autodifesa, come viene chiamato l’esercito del Paese, e del ministero della Difesa per prevenire gli attacchi informatici prima che si verifichino.
Oltre ad espandere le capacità di difesa, il Giappone creerà anche un quadro al di fuori del suo programma di assistenza ufficiale allo sviluppo che gli consentirà di fornire finanziamenti per rafforzare le capacità marittime e le infrastrutture militari nei Paesi del sud-est asiatico. Indonesia, Vietnam e Filippine saranno probabilmente i primi destinatari di certe risorse, visto che il Giappone ha già piani di strutturare cooperazioni più profonde con questi due Paesi. Il presidente statunitense Joe Biden ha scritto su Twitter: “Accogliamo con favore i contributi del Giappone alla pace e alla prosperità”. Ma pensare che queste decisioni nipponiche siano solo frutto di un maggiore allineamento con Washington è limitante, come suggeriva Alessio Patalano (King’s College) su queste colonne.