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Perché la revisione del Pnrr non è un tabù. Anzi

Lettura ragionata del saggio dal titolo “Stato essenziale, società vitale. Appunti sussidiari per l’Italia che verrà”, scritto da Alberto Mingardi e Maurizio Sacconi e pubblicato da Edizioni Studium. Nelle pagine del libro i due autori hanno chiesto a gran voce la modifica del Piano nazionale di ripresa e resilienza: “La revisione è consentita e auspicabile”. E intanto fervono sul punto le trattative tra Roma e Bruxelles

Il tema è più che mai d’attualità, come emerge anche dall’incontro a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza rimane al centro delle interlocuzioni tra Roma e Bruxelles, con la spinta a una possibile revisione che arriva decisa dal nostro Paese fin dall’insediamento del nuovo esecutivo. “In tema di ripresa economica, è stato riaffermato l’impegno del governo italiano sul Pnrr”, si è limitata a sottolineare la nota diffusa dalla presidenza del Consiglio al termine del bilaterale tra la premier e la presidente della Commissione Ue, a cui ha preso parte pure Raffaele Fitto. “Abbiamo anche parlato di implementazione del piano”, ha invece twittato von der Leyen.

Formule rituali e generiche che però danno il senso della trattativa in corso per giungere a una qualche forma di modifica come richiesto a più riprese dall’Italia. Un esito fortemente auspicato anche dal direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni Alberto Mingardi e dall’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi (qui una sua recente intervista rilasciata a Formiche.net e qui le foto scattate in occasione dell’evento di presentazione del volume) che hanno firmato insieme il saggio dal titolo “Stato essenziale, società vitale. Appunti sussidiari per l’Italia che verrà”, pubblicato da Edizioni Studium. Il libro – che si candida a diventare una delle principali bussole di riferimento della nuova stagione politica iniziata a seguito delle elezioni del 25 settembre e del varo del governo Meloni – sostiene la necessità di uno Stato al tempo stesso più leggero ed efficiente e meno invasivo, che lasci sempre più spazio alle iniziative e al dinamismo degli attori economici e sociali privati, con l’obiettivo di superare la Seconda Repubblica, caratterizzata, nonostante le attese e le speranze, da un ulteriore allargamento del perimetro pubblico soprattutto attraverso un debordante esercizio del potere di regolazione. “I nuovi decisori pubblici dovranno affrontare una stagione difficile che può tuttavia sollecitare il coraggio della discontinuità, la decisione di scatenare la società liberandola dai molti dei lacci che la opprimono”, hanno scritto gli autori nell’introduzione al volume.

Un eccesso di statalismo che, ad avviso di Mingardi e Sacconi, si può rinvenire anche nell’approccio italiano al Next Generation Eu: “I fondi sono stati allocati secondo il consueto carattere dirigista, seguendo grosso modo l’antico metodo sovietico di formulare piani, stavolta sessennali anziché quinquennali, di intervento su tutti i settori dell’economia e della società, prevedendo ex ante tappe e scadenze trimestrali, come se fosse l’evoluzione sociale a doversi adattare ai diagrammi di Gantt di Bruxelles e non il contrario”. Parole chiare che costituiscono una evidente critica al Pnrr per com’è stato impostato dai due governi che ci hanno lavorato dal 2020 in poi: vale a dire quello giallorosso guidato da Giuseppe Conte e poi quello di unità nazionale di Mario Draghi.

Atteggiamento che ha condotto a un piano definito nel libro “fortemente auto-referenziale”, con il quale lo Stato ha finito con il progettare il futuro partendo soprattutto da sé stesso, quando invece sarebbe stata  maggiormente utile e produttiva una linea d’azione più inclusiva e improntata alla sussidiarietà. In questo senso, secondo Mingardi e Sacconi, un esempio di tale approccio statalista è rappresentato dalle misure dedicate all’innovazione tecnologica, “fra i cui cardini c’è la creazione di campioni nazionali nell’ambito di tecnologie importanti – dalla salute al digitale all’energia – ma scelte dall’alto”. Come se in questi ambiti non ci fossero “un mercato, degli investitori, delle aziende, persino delle autorevoli grandi charities, dei lavoratori, e tutto dovesse dipendere da un bando del ministero dell’Università e della Ricerca”. Anche perché l’innovazione tecnologica non è qualcosa che si può disporre nei tempi e nei modi concordati, bensì “l’esito, spesso imprevisto, di iniziative che difficilmente, nel mondo d’oggi, possono essere semplicemente l’esito di programmi di ricerca e bandi definiti allo scopo”.

In questo contesto – argomentano gli autori nelle pagine del saggio – il Pnrr affronta i tanti problemi economici e sociali che sarebbe chiamato a risolvere con il rafforzamento delle strutture pubbliche esistenti o con la costituzione di nuove. Insomma, una vera e propria proliferazione di strutture di supporto e monitoraggio, “dalla cabina di regia alle strutture di missione centrali” e non solo, “con il contorno di enti e organismi tecnici, agenzie, società in house, tutte variamente incaricate di fornire assistenza tecnica all’arcipelago di soggetti attuatori, o svolgere una qualche forma di monitoraggio o controllo”. In pratica, “il trionfo dell’autoalimentazione burocratica”, solo “nominalmente intesa a semplificare”.

Da queste considerazioni discende la conclusione proposta da Mingardi e Sacconi e sostenuta pure dall’esecutivo – si pensi ad esempio a quanto dichiarato da Meloni lo scorso novembre in occasione dell’assemblea annuale dell’Anci – di un’incisiva modifica del Pnrr. “La revisione è consentita e auspicabile”, hanno scritto gli autori, prima di aggiungere che “se lo Stato si fa capacitatore di soggetti sussidiari e di mercato, moltiplica la resa della spesa”. A questo punto non ci resta che attendere per vedere quali modifiche saranno eventualmente introdotte.



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