Skip to main content

Decarbonizzare l’aviazione. La sfida dei Saf e le soluzioni in campo

I Paesi Ue si sono accordati su un piano per potenziare il comparto dei carburanti sostenibili per l’aviazione e abbattere due terzi delle emissioni settoriali entro il 2050. L’obiettivo è condiviso, ma la strada è ardua: serve creare un sistema sostenibile partendo dal basso. Biofuel ed e-fuel, strategie e policies: ecco la fotografia degli sforzi in atto

A fine aprile gli organi dell’Ue hanno raggiunto un accordo sul piano ReFuelEU, che delinea la tabella di marcia per l’adozione di carburanti per l’aviazione sostenibili – sustainable aviation fuels, o Saf – e lavorare verso la decarbonizzazione del settore, oggi responsabile per il 2-3% delle emissioni a livello globale. Nel 2025 la fornitura di carburanti negli aeroporti europei dovrà contenere il 2% di Saf, per poi salire progressivamente verso il 70% nel 2050. Secondo Bruxelles, tanto basta per abbattere due terzi delle emissioni del settore.

Si tratta dell’ultima misura relativa ai trasporti del pacchetto Fit for 55 (che punta ad abbattere il 55% delle emissioni Ue entro questo decennio). ReFuelEU fa anche seguito alla direttiva sul motore endotermico che molto ha fatto discutere, in Italia e in Europa, sui meriti del dirigismo tecnico, ossia quanto possa aver senso, nel campo di tecnologie in fase di sviluppo, imporre dei target arbitrari e favorire una soluzione in particolare. Ma a differenza del dibattito sul futuro dell’auto, tutte le parti in campo – dai legislatori alle associazioni di categoria, passando per gli studiosi del settore – sembrano d’accordo sul fatto che i Saf siano la scommessa migliore.

Il presupposto è che l’aviazione è un settore difficilissimo da decarbonizzare. Volare, specie per le tratte lunghe, richiede di dover immagazzinare quanta più energia possibile in un mezzo che pesi poco e non occupi troppo spazio. Ed è difficile battere la densità energetica del cherosene: le altre tecnologie sul tavolo, tra cui gli aerei a idrogeno e a batteria, oggi sono pensabili solo sulle tratte più brevi. Che da una parte si sostituiscono più facilmente con mezzi terrestri (la Francia li ha appena vietati a favore dei treni), e dall’altra inquinano molto meno rispetto ai viaggi lunghi; sono quelli oltre i 1.500 chilometri a essere la fonte della maggior parte delle emissioni da aviazione.

Detto questo, i carburanti sostenibili sono una soluzione già comprovata, testata sul campo – sono già decollati e atterrati diversi voli di prova con il 100% di Saf – e che non richiede modifiche ai motori e alle infrastrutture esistenti, o quasi. La difficoltà è renderli, appunto, sostenibili. Perché si tratta comunque di bruciare un idrocarburo in atmosfera. Questa la vera sfida del settore Saf: creare e portare su scala una catena di produzione sostenibile, che non dirotti risorse da altre filiere (con relative ripercussioni sull’ambiente) e che non presenti costi proibitivi per l’industria aeronautica, che a loro volta farebbero aumentare vertiginosamente i prezzi di viaggio o spedizione per via aerea.

Le due principali categorie di Saf sono le stesse dei carburanti alternativi per l’auto: i biocarburanti e quelli sintetici, anche detti e-fuel. I primi possono provenire dai grassi degli scarti, come oli da cucina esausti, residui agricoli o colture coltivate appositamente. I secondi si producono a partire dall’idrogeno (che per essere green va scisso dall’acqua con energia elettrica rinnovabile) e la CO2 estratta dall’atmosfera attraverso la cattura diretta. Entrambi i processi, al momento, sono molto costosi, mentre il mondo non produce abbastanza scarti agricoli e alimentari per generare abbastanza biofuel per l’intera industria dell’aviazione. Per non parlare della complessità della catena logistica per recuperarli o dell’impatto sul settore agroalimentare.

È qui che si sta concentrando lo sforzo delle realtà come Eni, leader nel campo dei biocarburanti che punta a costruire un polo livornese, e il consorzio di aziende (tra cui l’italiana Enel) che ha fatto nascere in Cile quello che dovrebbe diventare il più grande impianto di e-fuel al mondo per volumi prodotti. Gli inizi sono promettenti, ma per arrivare agli obiettivi europei servirà moltiplicare i volumi di diversi ordini di grandezza nei prossimi anni. Senza contare che le emissioni prodotte dai carburanti bruciati in atmosfera andranno comunque compensate in altro modo. In un mondo net-zero per davvero, la produzione degli e-fuel cattura tanta CO2 quanta ne viene bruciata in atmosfera – e quella dei biofuel non compete con l’industria agroalimentare.

Vista la portata della sfida, è necessario creare il circolo virtuoso che porti alla crescita dell’economia di scala. Come scriveva David Chiaramonti, vicerettore del Politecnico di Torino, su queste colonne, serve “raccordare le normative europee e internazionali e predisporre roadmap che consentano agli operatori economici di avviare la transizione senza perdere la competitività” mantenendo la barra dritta, a livello legislativo, sul lungo periodo. “La stabilità delle policy di settore […] è condizione necessaria per attuare i programmi di investimento, come ormai da anni le imprese del settore vanno ripetendo a Bruxelles”. È in questa direzione che vanno il piano ReFuelEU e gli equivalenti, come i sussidi statunitensi.



×

Iscriviti alla newsletter