Attraverso un’agenzia nazionale, Tokyo ha firmato una serie di accordi per l’approvvigionamento di materiali con cinque Paesi africani. Un chiaro esempio di politica pragmatica sulle materie prime e di vicinanza alle esigenze delle sue industrie nazionali high-tech
Mentre la geopolitica mondiale si riassesta con il progressivo rafforzamento dei paesi Brics, con il recente allargamento del gruppo a 11 nuovi Paesi, il Giappone ha di recente dato credito ad una strategia di approvvigionamento pragmatica e in linea con le sue esigenze industriali. L’obiettivo è quello di svincolare le supply chain dell’elettronica (soprattutto l’industria delle batterie) dai materiali processati dalla Cina, che è a sua volta molto attiva in Africa.
Nel corso del mese di agosto, il Japan Organization for Metals and Energy Security (Jogmec) ha firmato una serie di accordi con i Paesi dell’Africa meridionale durante le visite del ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria (Meti), Yasutoshi Nishimura.
Durante un tour durato circa una settimana, il ministro Nishimura ha tenuto una serie di dialoghi bilaterali con i rappresentanti africani. I cinque Paesi coinvolti nella creazione di opportunità di investimento per le aziende giapponesi nel settore minerario sono Namibia, Angola, Zambia, Madagascar e Repubblica Democratica del Congo (RDC). La visita era volta a gettare la base per una presenza commerciale e industriale nell’esplorazione mineraria e nella produzione delle aziende giapponesi, attraverso la firma di accordi a lungo termine e la pubblicazione di dichiarazioni congiunte.
In Angola, Zambia e RDC, l’occasione è risultata, inoltre, ottimale per far progredire le attività congiunte, supervisionate dal Jogmec. I tre Paesi sono collegati dal consorzio Lobito Atlantic Railway, un progetto ferroviario dell’Africa centrale per aprire l’accesso a materiali critici alle forniture oltreoceano. Il Jogmec e il Meti giapponese hanno ripreso in mano il dossier, che era fermo alla firma di un memorandum d’intesa del febbraio 2012 con la RDC per sostenere l’esplorazione e il monitoraggio ambientale nel Paese. Il Congo è una fonte fondamentale di approvvigionamento di rame e cobalto nell’Africa centrale (10% e 73% circa della produzione globale, secondo le stime S&P), ma le preoccupazioni ESG (oltre alla forte presenza delle aziende statali della Cina) sono state parte degli sforzi per riprogettare le formulazioni dei catodi delle batterie e per ridurre la crescita della domanda di cobalto della RDC. Di recente anche gli Usa hanno rilanciato una strategia per il Congo, con l’obiettivo di ridurre l’influenza cinese.
In Madagascar, il Giappone ha un punto di riferimento per i materiali critici con l’impianto di Sumitomo Corporation, in joint venutre, nella miniera di nichel-cobalto di Ambatovy dove i concentrati estratti vengono convertiti in metalli di nichel e cobalto. Si tratta della più grande miniera di nichel in Africa, con circa un decimo dell’output mondiale nel 2022 (circa 40.800 tonnellate).
In Zambia, il ministro Nishimura ha proposto il Jogmec come ente a supporto delle attività esplorative per rame e nichel, quest’ultimo ingrediente fondamentale per le batterie elettriche e perlopiù utilizzato in Giappone e Corea del Sud da aziende come Panasonic e Samsung SDI. Lo Zambia è responsabile del 3.4% e del 4.0% della produzione rispettivamente di cobalto e rame a livello mondiale.
In Namibia, Jogmec e Meti hanno già investito nel progetto di terre rare del sito di Lofdal della junior mining company Namibia Critical Metals, che gestisce un giacimento di terre rare pesanti (disprosio e terbio) necessarie per i magneti permanenti dei motori dei veicoli elettrici, un settore che vede il Giappone secondo produttore dietro la Cina. Il nuovo accordo firmato con la Namibia prevede l’esplorazione congiunta di nuovi giacimenti di terre rare, a partire dal rilevamento satellitare. L’accordo include, indoltre, la valutazione da parte del Jogmec del potenziale della Namibia come polo delle terre rare nell’Africa meridionale e la costruzione di un impianto di separazione a supporto (uno step della supply chain attualmente dominato da Pechino). La Namibia ha recentemente introdotto un divieto di esportazione per i minerali critici non lavorati, dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri, tra cui le terre rare.
L’economia e le industrie avanzate del Giappone dipendono fortemente dalle importazioni di materie prime, con il governo che ha già creato catene di approvvigionamento per iniziare la sua diversificazione dalla Cina. Nel 2010, in seguito ad un incidente diplomatico sulle isole Senkaku, contese con Pechino, il governo cinese decretò un embargo sulle terre rare esportate alle industrie nipponiche, causando una serie di ripercussioni sull’industria che persistono ancora oggi. Una lezione che torna drammaticamente d’attualità nel contesto odierno: la minaccia di bloccare l’export di gallio e germanio da parte di Pechino rende essenziale “ridurre l’eccessiva dipendenza dalla Cina” ha dichiarato il ministro Nishimura, con il Giappone che “prenderà l’iniziativa per creare e promuovere misure concrete per l’esplorazione e lo sviluppo delle attività minerarie, il rafforzamento dell’industria di raffinazione, l’innovazione tecnologica e le misure di emergenza”.
Da circa il 1963, e soprattutto in seguito alle crisi petrolifere degli anni ’70, il governo giapponese ha adottato una serie di iniziative e misure per garantire alle sue industrie forniture stabili e a basso costo per metalli e petrolio, oltre a gas naturale. Tokyo ha iniziato lo stoccaggio di alcune materie prime energetiche nel 1978, fino a creare il Jogmec nel 2004 in seguito all’accorpamento di due enti governativi.
Non è un caso che nella definizione dell’ente “sicurezza energetica” e “metalli” compaiano insieme. La domanda globale per i materiali critici – tra cui litio, cobalto, nichel, terre rare, grafite – è destinata ad aumentare considerevolmente, mentre l’offerta potrebbe incontrare numerosi ostacoli dovuti alla mancanza di investimenti del settore privato o di colli di bottiglia geopolitici considerando la struttura oligopolistica del settore. Il G7 guarda infatti con estrema attenzione il dossier delle materie prime critiche, proprio a seguito del summit di aprile tenutosi in Giappone.
L’approccio giapponese, dunque, è un caso scuola per la sicurezza degli approvvigionamenti. Secondo il sito del Jogmec, tra le attività dell’ente nel settore si annovera la ricerca di “stabilità negli approvvigionamenti” di “risorse metalliche indispensabili per l’industria giapponese”. Nella relazione annuale del 2021, l’agenzia dipingeva un quadro preoccupante per le difficoltà di garantire adeguate forniture di metalli: “Il Giappone importa la maggior parte delle risorse metalliche richieste dalle sue industrie manifatturiere. Tuttavia – continua – il paese di trova ad affrontare crescenti difficoltà nel garantire l’accesso ai metalli essenziali per la produzione di automobili, dispositivi ICT e altri prodotti strategici per mantenere la propria competitività industriale”.
Per rafforzare sicurezza e stabilità delle forniture, il Jogmec offre una serie di supporti diretti al settore privato, in particolare alle imprese high-tech: sussidi per l’esplorazione all’estero, prestiti per l’esplorazione (fino a 15 anni di durata), investimenti diretti e partecipazioni dello Stato (tramite l’agenzia) per l’acquisizione di asset minerari all’estero, oltre a garanzie sui prestiti contratti da privati. Secondo l’ente, dal 2004 al 2020 sono stati concessi 54 sussidi per l’esplorazione all’estero, tre progetti finanziati e tre acquisizione di depositi, oltre a 17 prestiti per attività esplorative. La relazione rileva, tuttavia, che i numeri assoluti e il valore delle transazioni sono diminuite dal 2014.
Resta, tuttavia, la pragmaticità dell’approccio giapponese che “lavora con i governi e le comunità locali come partner” ha dichiarato Ryo Hinata-Yamaguchi, professore di relazioni internazionali dell’Università di Tokyo. “Negli anni, il Giappone è stato davvero capace di costruire legami con i paesi in via di sviluppo, fornendo supporto tecnico e finanziario sulle infrastrutture, creando lavoro qualificato e molto altro”.
Con la concorrenza delle principali economie nella corsa per assicurarsi i materiali critici, i Paesi africani sono sempre di più al centro dell’attenzione per le loro ricchezze geologiche, con l’opportunità di trarre un doppio valore: offrire accesso alle proprio risorse, essenziali per le industrie clean-tech, e soprattutto un’alternativa alla Cina.