Le misure varate da Pechino sulle restrizioni all’export di grafite colpiscono l’industria coreana, la più esposta. Inizia la corsa a cercare alternative sui mercati globali. Intanto l’industria automotive cinese inizia a reagire all’indagine Ue…
La Cina la scorsa settimana ha svelato i suoi piani per restringere, a partire dal 1 dicembre, le esportazioni di grafite (minerale critico per la produzione degli anodi, il componente negativo delle batterie) di cui domina l’estrazione per il 90% e controlla la raffinazione a livello mondiale . La mossa è seguita pochi giorni dopo l’annuncio dei nuovi controlli sulle esportazioni di tecnologia americana sui chip.
La notizia ha subito suscitato reazioni di preoccupazione sui mercati, specialmente tra le aziende coreane che sono fortemente dipendenti per uno dei materiali chiave per la manifattura delle batterie elettriche. Pechino richiederà ai produttori nazionali una licenza per poter esportare sui mercati esteri materiali di grafite sintetica – di cui tre versioni, per purezza, densità e durezza – riportando le informazioni dei clienti e ricevere eventualmente il via libera dalle autorità. Si tratta, dunque, non di un vero e proprio “ban” dal momento che i flussi commerciali potranno proseguire su presunzione di approvazione della misura.
Nella giornata dell’annuncio, il ministro del Commercio, Industria ed Energia coreano ha richiesto un incontro di emergenza con i rappresentanti dei principali produttori di batterie elettriche del paese – tra cui LG Energy Solution, Samsung Sdi, Sk On – che hanno avanzato preoccupazioni e comunicato al governo di aver assicurato ordinativi di grafite per i prossimi due o tre mesi. La mossa della Cina, seppur non sia stata concepita per colpire direttamente la Corea, è un segnale geopolitico ma che avrà diretta conseguenze sugli ecosistemi industriali più esposti.
Secondo i dati della Korea International Trade Association (Kita), tra gennaio e settembre di quest’anno il 94.3% di grafite sintetica, per un valore intorno ai $74 milioni, è stato importato dalla Cina. Anche il Giappone dipende dai fornitori cinesi per il 90% del suo fabbisogno. Tuttavia, i produttori coreani di batterie non importano direttamente il materiale, ma contano molto sui aziende specializzate, come Posco, che a loro volta si affidano ai fornitori cinesi. L’integrazione, infatti, tra i produttori cinesi, coreani e giapponesi nel network di produzione che coinvolge battery makers, fornitori di materiali chimici e siti estrattivi è forte e rappresenta, ad oggi, il vero centro gravitazionale di tutto il mercato delle batterie elettriche, soprattutto per la domanda di materiali e per la formazione dei prezzi.
Proprio su una maggiore competitività dei prezzi delle batterie le aziende coreane, come LG che gode del 27% circa del mercato, hanno annunciato una vera e propria rincorsa su quelle cinesi, come Catl e Byd, puntando a lanciare tra il 2026 e il 2027 un’offerta di batterie al litio-ferro fosfato e manganese (Lfp e Lfmp) per affiancarle al loro portfolio che include, principalmente, batterie Ncm. Questa tipologia di batterie è prediletta dalle case automobilistiche occidentali, che prediligono batterie a più alta densità energetica per migliorare il driving range e l’autonomia. LG ha stretto accordi di fornitura con Ford, una joint venture con General Motors e Volkswagen, mentre Samsung con Bmw e Mercedes.
La decisione strategica arriva in un momento incoraggiante per Lg, che ha riportato risultati positivi per il secondo quadrimestre del 2023. Nel periodo luglio-settembre, l’utile di esercizio – incluso il credito fiscale previsto dall’Inflation Reduction Act (IRA) del governo statunitense – è aumentato del 40.1% a circa $534 milioni rispetto allo stesso periodo del 2022. Secondo le previsioni dell’azienda, la capacità di produzione nella gigafactory in Arizona verrà aumentata da 27 a 36 GWh. E’ possibile che la mossa di Pechino sulla grafite sia anche un warning shot nei confronti della sempre più stretta relazione tra Washington e Seoul sul fronte politico-commerciale proprio per via dell’IRA. Gli Usa importano il 33% del fabbisogno dalla Cina, il 21% dal Messico, il 17% dal Canada e il 9% dall’India.
La realtà, comunque, rimane che la Cina ha costruito una capacità in eccesso lungo la catena del valore degli anodi di grafite (con circa il 96% dello share di mercato). Le autorità cinesi, dunque, potrebbero aver concepito i controlli per razionalizzare la capacità, al fine di estromettere le raffinerie meno efficienti (per l’industria delle terre rare, un meccanismo simile è stato attivato con il sistema delle quote di produzione), ridurre i costi di produzione e disincetivare l’utilizzo di materiali precursori per gli anodi (come il silicio metallico) alternativi. La quota della grafite sintetica rimane comunque maggioritaria sul mercato, prodotta in Cina con l’utilizzo del coke petrolifero e attraverso il processo di “grafitizzazione”. La grafite sintetica è preferita a quella naturale per via della sua purezza sopraffina.
Nello specifico, la grafite è la componente (per kW/kg) che conta per la maggior parte del pacco batteria, con il 95-99% dell’anodo (a seconda delle soluzioni tecnologiche che presentano una combinazione di grafite naturale e sintetica). Nelle batterie al litio la grafite non può essere sostituita dal momento che aiuta la conduttività elettrica e agisce come materiale “ospitante” degli ioni di litio che attraversano la struttura dai catodi agli anodi in fase di scarica e di carica nel flusso inverso. Il catodo, l’altra metà delle celle che compongono il pacco, è costituito da un mix di litio, nichel e cobalto. Secondo le stime Iea, la grafite conta per il 32% del peso della batteria e rappresenta un minerale fortemente critico per gli obiettivi di elettrificazione della flotta automotive: la domanda è prevista aumentare di 20-25 volte entro il 2040.
E qui si inserisce la corsa a trovare approvvigionamenti alternativi alla Cina. La mossa di Pechino incentiverà questa spinta nel breve termine, soprattutto per l’utilizzo della grafite naturale che non richiede un processo (più costoso e inquinante) di ulteriore raffinazione. Se la Cina contava per il 65% dell’estrazione globale del minerale (con 850.000 tonnellate nel 2022), seguivano il Brasile con 87.000 t di output. Particolarmente promettenti sono progetti in Africa, tra cui in Madagascar, Mozambico, Namibia e Tanzania, ma anche in Norvegia, Canada, India e negli Usa.
Se da un lato è possibile prevedere una fase rialzista dei prezzi nel breve periodo, grazie all’esaurimento delle scorte, dall’altro le esportazioni cinesi di grafite/anodi continueranno a fluire, anche se in modo meno efficiente, proprio per via dei controlli sulle esportazioni. Questi avranno sicuramente un impatto nell’aumentare il valore degli anodi, nonostante sia il costo dei catodi quello preponderante (i produttori sono molto più sensibili alle fluttuazioni dei prezzi di nichel e cobalto, come emerso anche nell’ultimo biennio). Nel medio periodo, gli operatori fuori dalla Cina (Usa e Ue) avranno dunque un incentivo a localizzare la produzione di anodi: gli Stati Uniti già hanno in essere un’esenzione sulla tariffa del 25% applicata all’importazioni di grafite cinese, che riflette un compromesso necessario tra costi e sicurezza dell’approvvigionamento.
Proprio in Tanzania l’azienda mineraria australiana Volt Resources ha firmato un accordo di sviluppo congiunto con American Energy Technologies Company (Aetc) per collaborare e ottenere finanziamenti dal Dipartimento dell’Energia degli Sati Uniti (DoE) per costruire un impianto di anodi da grafite naturale negli Usa, per una capacità di 7.500 tonnellate l’anno e l’operatività, per servire i mercati in Europa e negli Usa, nel 2026.
Le politiche di controllo della Cina sulle filiere delle materie prime critiche, che includono quelle su gallio e germanio, si inseriscono in un contesto di crescente pressione da parte americana e degli alleati per una strategia di de-risking e regionalizzazione dal litio ai chip.
Tra gli strumenti adottati, la Commissione Ue ha aperto un’indagine anti-dumping sulle auto elettriche prodotte in Cina (con Catl e Byd punte di diamante per la produzione di batterie a prezzi iper-competitivi) e che potrebbero guadagnare uno share di mercato crescente sul continente ai danni dei grandi automakers europei che si devono affidare a produttori esteri per i battery pack in assenza di player consolidati.
Great Wall Motor (Gwm), azienda automotive con sede nella provincia del Hubei, ha presentato, come previsto dalla procedura, la documentazione alla Commissione che delinea la posizione dell’azienda: stando a quanto raccontato da Feng Mu, presidente di Gwm, la società ha notificato per prima i commenti lo scorso 11 ottobre. Mu ha rimarcato che “l’Europa rappresena un mercato strategico per Gwm” e confermato i piani per la costruzione di un impianto in Germania invocando un “ambiente commerciale giusto e aperto”.
Nel 2022 la casa automobilistica cinese ha venduto i suoi modelli principalmente in Cina, Russia, Australia e Sud Africa, forte delle joint venture con Volkswagen e General Motors e con le aziende di Stato cinesi Saic e Faw.