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Il complesso allineamento tra aziende di chip e governo Usa. Il caso Applied Materials

Il più grande produttore statunitense di macchinari per la manifattura di semiconduttori è sotto investigazione dal procuratore capo del distretto del Massachussetts. L’accusa è di aver aggirato le restrizioni all’export di tecnologia americana verso la Cina. È solo un esempio del complesso allineamento delle aziende di chip all’agenda del governo

La guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina sui semiconduttori è destinata ad impattare l’industria americana (e globale) più di quanto ci si aspettasse. A poco più di un mese del nuovo round di restrizioni e misure varate dal Dipartimento del Commercio lo scorso 17 ottobre, la pressione del governo e degli apparati federali verso le proprie aziende di punta aumenta.

Secondo quanto riportato da Reuters, Applied Materials, principale produttore e fornitore di macchinari litografici americano (insieme a Lam Research e KLA, per il 45% circa del mercato), sarebbe indagata per aver violato le precedenti restrizioni all’export per clienti cinesi inclusi nell’Entity List. In un documento consegnato alla US Securities and Exchange Commission (SEC), l’azienda ha infatti confermato l’avvio dell’indagine da parte del procuratore capo del distretto del Massachussetts nell’agosto del 2022 (due mesi prima che entrassero in vigore le precedenti restrizioni).

L’accusa sarebbe quella di aver violato l’embargo tecnologico nei confronti di Semiconductor Manufacturing International Corporation (SMIC), azienda di chip che, in collaborazione con Huawei, ha fabbricato un microprocessore avanzato da 7 nanometri per il Mate Pro 60 con l’utilizzo di dispositivi DUV forniti dall’azienda olandese (e concorrente di Applied Materials) ASML. Secondo le prime ricostruzioni, l’azienda americana avrebbe già inviato una serie di macchinari a SMIC attraverso la Corea senza tuttavia possedere le adeguate licenze dalle agenzie incaricate, tra cui il Bureau of Industry and Security.

Il governo americano ritiene che Applied Materials abbia spedito, attraverso i suoi impianti localizzati a Gloucester, in Inghilterra, a SMIC dopo che l’azienda cinese era stata inserita nel 2020 nella Entity List insieme a Huawei e due anni dopo ZTE per i loro rapporti stretti con l’Esercito di Liberazione Popolare cinese. E’ plausibile che se fossero state in vigore le restrizioni aggiornate con le clausole dello scorso 17 ottobre – che prevedono l’estensione della giurisdizione americana sulla richiesta di licenze per l’utilizzo o l’export di tecnologia di proprietà americana per quelle aziende che hanno i propri quartier generali, o società controllate, in tutti quei paesi sottoposti ad un embargo, tra cui Macao, Cina, Russia, Corea del Nord – la forza persuasiva del governo avrebbe avuto gli effetti desiderati.

“Stiamo cooperando a pieno con il governo” si legge nel documento inviato alla SEC. “Questa questione è soggetta a incertezze, e non possiamo predire gli sviluppo ne stimare con ragionevolezza potenziali perdite o penalità a riguardo”. Alla fine di luglio 2023, nel corso di un anno le vendite alla Cina nei tre segmenti di business su cui opera Applied Materials hanno contato per il 27% (in valore, milioni di dollari), seguita da Taiwan (21%) e Corea (15%). Si tratta dei tre principali mercati di riferimento per le aziende che producono macchinari per la fabbricazione di chip, avendo contato per il 75% della domanda globale. Le fonderie avanzate e i chip logici sono il segmento di punta per Applied Materials, che hanno contato per l’80% delle vendite. Tra i rischi individuati dall’azienda, l’esposizione geografica: la concentrazione di un numero limitato di produttori di chip nella regione conta, dunque, per una sostanziale porzione del business dell’azienda e potrebbe variare come risultato delle politiche governative (come il CHIPS Act) e in generale agli incentivi per la regionalizzazione dell’industria dei chip.

Resta tuttavia evidente che per non perdere mercati di riferimento, molte aziende americane stiano cercando di trovare cavilli burocratici per poter esportare i propri prodotti nel tentativo di non violare la legge americana. Il Dipartimento del Commercio ha specificato che le licenze per l’equipaggiamento avanzato utile a produrre chip al di sotto delle nuove soglie di performance e densità di processazione sono valutate caso per caso, e volte a prevenire che la continuità del business tra aziende fornitrici e clienti cinesi possa essere sfruttata per accedere a tecnologia sensibile per la sicurezza nazionale (IA per le applicazioni militari).

La notizia, comunque, ha impattato non poco l’immagine dell’azienda sui mercati finanziari, con un crollo del 8.3% alla borsa di New York, il tonfo più consistente da quasi un anno. Tuttavia, ieri l’azienda ha registrato numeri ben al di sopra delle aspettative di Wall Street, con circa $6.47 miliardi di entrate nel corso dell’anno.

Le aziende come Applied Materials hanno patito un raffreddamento della domanda di chip di memoria, che ha ridotto i margini di espansione della capacità di aziende come Micron, SK Hynix e Kioxia. Tuttavia, secondo Gary Dickerson, CEO dell’azienda con sede in California, la domanda di chip logici per l’IA costituirà un nuovo promettente driver per la domanda di apparecchiature per la fabbricazione di semiconduttori sempre più complessi. Sarà dunque la spesa in conto di capitale (CAPEX) delle grandi fonderie – da TSMC, Intel, GlobalFoundries, Samsung Electronics – a trainare il mercato di fotoresistori e dispositivi litografici, soprattutto per chip tra sotto i 10 nanometri, logici, DRAM e 3D NAND.

La Cina continua ad essere uno dei mercati più in crescita per le aziende che operano nel segmento di Applied Materials. Ma proprio in quanto collo di bottiglia della supply chain – soprattutto per i macchinari EUV e DUV più avanzati – sono l’asset strategico per eccellenza nel tentativo degli USA di contenere le ambizioni tecnologiche di Pechino, nonostante gli sforzi del governo cinese di rendere inefficaci le sanzioni, attraverso l’indigenizzazione della filiera e puntando sui campioni nazionali e cercando di finanziare aziende innovative o processi di produzione che possano replicare, con difficoltà a rimanere competitive, la tecnologia saldamente in mano ad ASML e ai fornitori americani.

Rimane comunque poco chiaro il motivo per cui il reportage sia stato rilanciato proprio a ridosso della disclosure dei risultati quadrimestrali dell’azienda, considerando che l’avvio dell’indagine risale a più di un anno fa. E’ evidente che i rischi delle aziende americane aumenteranno considerevolmente in ragione di un monitoraggio sempre più costante delle agenzie federali, dal momento che la compliance e l’aderenza delle restrizioni all’export rappresentano un punto cruciale per evitare che si verifichino nuovi ed eclatanti casi come quello di Huawei. Ma soprattutto per un’implementazione efficace delle misure.

La leadership tecnologica americana, e la necessità di limitare gli avanzamenti militari dell’esercito cinese, sono infatti motivi che dovrebbero, secondo alcuni, motivare senza se e senza ma la totale adesione alle misure dell’amministrazione Biden e alla strategia complessiva teorizzata da Jake Sullivan “small yard and high fence”. Basta leggere le parole che Andrew Feldman, CEO di Cerebras, start-up americana specializzata nel deep-learning per l’IA, ha riservato alla principale azienda americana nel segmento dei chip. “Credo che Nvidia abbia armato la Cina da sola”, ha dichiarato a The Register. “Se si pensa alle capacità cinesi di intelligenza artificiale… Nvidia ha fornito loro quantità straordinarie di GPU. Non c’è altro modo di vedere la cosa. Era legale, ma questo non significa che non abbia una responsabilità morale”.

Probabilmente Feldman ha dimenticato di menzionare un dettaglio importante. I microprocessori di Nvidia, come l’H100, l’A100, A800, che rientrano nelle soglie del BIS e dunque proibiti per l’export, sono sì stati disegnati dall’azienda di Jensen Huang, ma fabbricati da TSMC. Dunque, in un’ottica di una supply chain così complessa, il ricorso all’anti-americanismo non è e sarà certamente un valido argomento per incentivare i colossi dell’industria a trovare mercati alternativi. Argomenti più solidi li offre già il CHIPS Act, con decine di miliardi di finanziamenti, ma sappiamo che stanziare fondi non basta (e la Cina, in questo senso, ne è la vivida dimostrazione). Un dilemma, quello tra libero mercato e sicurezza nazionale, che sarà senza dubbio il leitmotiv dei prossimi anni e che vedrà l’industria dei semiconduttori americana (e non solo) al centro del dibattito.


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